[06/03/2013] News

Chavez è morto. Il Venezuela piange il suo caudillo del socialismo petrolifero

Il governo del Venezuela ha annunciato la morte di Hugo Chávez a causa di complicazioni mediche dopo l'ultima operazione di cancro subita a Cuba dove si era tentato di salvarlo da un tumore diagnosticato al caudillo socialista/bolivarista del Venezuela nel giugno 2011. La morte di Chavez, annunciata, temuta e invocata dall'opposizione, lascia comunque un Pese attonito, orfano di un uomo vulcanico, imprevedibile fino alla bizzarria, ma che, dopo aver preso il potere del 1999, ha segnato nel bene e nel male il destino del Venezuela e che è stato piegato solo da 4 operazione e da una infinita chemioterapia. Il suo successore designato è il vicepresidente Nicolás Maduro e il Venezuela è sprofondato in 7 giorni di lutto nazionale, mentre per 3 giorni sono state sospese sia le attività scolastiche che lavorative in tutto il Paese.

L'inventore del socialismo petrolifero bolivarista, il mancato golpista diventato il presidente eletto più duraturo, amato ed odiato del Venezuela, era diventato quasi un Dio per il popolo Chavista che si è riversato piangente e disperato nelle strade di Caracas per raggiungere Palacio de Miraflores e l'Hospital Militar, bloccando la capitale del Venezuela, per rendere omaggio ad un uomo che, con tutti i suoi difetti, ha cambiato in meglio la vita di moltissimi dei venezuelani più poveri. La sterminata folla di chavisti che paralizza il centro di Caracas è anche un avvertimento all'opposizione venezuelana ed al governo Usa che l'ha appoggiata, così come lo slogan che scandisce la gente: «Chávez vive, la lucha sigue».

Nei suoi 14 anni di potere il chavismo ha saputo organizzarsi un consenso a volte delirante, ma ha anche sempre vinto le elezioni democraticamente, utilizzando magari clientele e petrolio, mentre l'opposizione di destra cedeva a tentazioni golpiste e invocava interventi esterni per sbarazzarsi di un caudillo rosso del quale la gente ora dice per le strade: «Chávez vivirá para siempre».

Chavez ha utilizzato il petrolio non solo per mantenersi al potere e per salvare la gerontocrazia castrista di Cuba e sostenere i governi di sinistra latinoamericani, ma anche per costruire case popolari, dare opportunità di laurearsi ai poveri con la Misión Sucre e la Misión Ribas, realizzare scuole di musica popolari, dare un pasto ai bambini delle scuole. Come dice un manifestante a El Paìs «Il comandante ci ha dato un'identità, ci ha insegnato a non vivere equivocando e ci ha fatto vedere quel che veramente siamo. Ora abbiamo una Patria». Chavez ha saputo costruire con il suo potere personale un'empatia mai vista con i poveri del Venezuela, che sono la grande maggioranza del Paese. Si tratta di una versione di quel socialismo orgogliosamente nazionalista, comunitario ed identitario che ha "contaminato" con le sue varianti molti Paesi dell'America Latina che sono così usciti da un umiliante passato di servitù, dittature, torture e desaparecidos, un socialismo imperfetto, dominato da uomini carismatici, da Correa in Equador, a Morales in Bolivia, oppure da impresentabili camaleonti come Ortega in Nicaragua, ma al quale devono molto anche il progressismo moderato del Brasile e la coalizione di sinistra che governa l'Uruguay con José Mujica, il presidente più povero del mondo,  o il peronismo di sinistra della Fernandez in Argentina. Chavez sembrava assumere confusamente, a volte contraddittoriamente, in sé tutte queste esperienze che dalla rivoluzione cubana a Che Guevara, passando per i golpe fascisti in Brasile, Cile ed Argentina e per le dittature filoamericane che hanno dissanguato un continente, hanno portato la sinistra latinoamericana a sperimentare "socialismi" patriottici che fanno la rivoluzione sostenuti dalle urne, che hanno tolto ai poveri i fucili di rivoluzioni disperate per consegnar loro una nuova dignità, un pezzo di pane, una scuola per i loro figli. Può sembrarci poco, ma è moltissimo per chi non ha niente e che in nome di questo è disposto a perdonare molto, anche qualche forzatura di una democrazia che non è stata mai rispettata da chi comandava prima.

In Venezuela a marzo piove raramente, ma ieri ha diluviato poco dopo che Maduro ha annunciato al Paese la morte del presidente, cosa che è stata vista come un segno del cielo che sembra piangere la scomparsa di un "comunista" che non nascondeva la sua fervente fede cattolica, mentre davanti all'Hospital Militar: la gente ha affisso uno striscione con su scritto: "Chávez, nuestro libertador del Siglo XXI".

Il suo erede Nicolás Maduro è un convinto sostenitore del socialismo bolivarista/chavista e sembra avere ottimi rapporti con l'altro protagonista nascosto della vita del Paese, l'esercito dalle cui fila proveniva Chavez. Per questo Cuba e gli altri governi "izquierdistas" latinoamericani che ricevono a basso costo il petrolio venezuelano nel nome della fraternità antiimperialista, possono stare per il momento tranquilli, in attesa delle nove elezioni che vedranno probabilmente contrapposto Maduro al centrista Henrique Capriles,  battuto sonoramente lo scorso ottobre da un Chavez già consumato dal cancro e che con quella battaglia ha probabilmente anticipato la sua fine. Si vedrà allora se Chavez sarà riuscito a fare un altro miracolo: quello della rivoluzione bolivariana che sopravvive al suo caudillo carismatico, che ha saputo nascondere con la retorica e la fantasia gli enormi squilibri economici del Venezuela, le sacche di povertà delle baraccopoli, la corruzione del partito al potere, la incontenibile violenza urbana che il regno socialista di Hugo Chavez non ha saputo eradicare.

La parabola di Chavez parla anche all'Italia di oggi: vinse le prime elezioni promettendo di spazzare via i corrotti partiti tradizionali che avevano portato il Venezuela al disastro, promettendo la resurrezione del Venezuela a masse osannanti che acclamavano nelle piazze il nuovo caudillo, un uomo forte e istrionico che sembrava davvero convinto che la simbiosi tra governanti e popolo fosse possibile, una reincarnazione meticcia di Simón Bolívar che ha saputo su queste basi costruirsi un carisma imbattibile sostenuto da miliardi di petrodollari dando ai più poveri una speranza che ha umiliato nelle urne elettorali la voglia di rivincita della vecchia oligarchia e della rapace borghesia venezuelana.

Un arsenale politico ed ideologico non sempre raffinato, condito da un paternalismo di Stato che sconfina spesso nell'arbitrio dei militanti chavisti, ma che ha portato i neri ed i mulatti, gli esclusi e gli emarginati, a schierarsi con il nuovo e poi inossidabile liberatore, piegato e sconfitto solo dal cancro.

Probabilmente era vero che per Chavez «E' necessario essere idolatrato. E' narcisista», come disse lo psichiatra Eduardo Chirinos, che lo trattò in prigione dopo il golpe fallito del 1992 che si rivelò il trampolino di lancio per la sua inarrestabile carriera politica "democratica", ma è anche vero che Chavez ha usato il petrolio per abbassare gli indici di povertà ed aumentare quelli dell'istruzione e della sanità investendoci più di 400 miliardi di dollari. E' vero che Chavez (ed anche qui ci ricorda qualcosa di italiano non proprio "comunsta") ed i chavisti si sono burlati dei contrappesi propri delle democrazie rappresentative, ma è anche vero che le cosiddette democrazie rappresentative che lo hanno preceduto quei contrappesi li avevano sepolti e che Chavez non è stato un dittatore perché tutti i suoi atti di governo sono stati legali (magari legalizzati a posteriori o legalizzati da leggi approvate un minuto prima proprio per quel motivo (vi ricorda qualcosa?).

Come scrive oggi El Paìs, Chávez è stato un caudillo brillante, imprevedibile, contraddittorio, erratico, affetto da darwinismo sociale, costruito per lo scontro, senza un'ideologia chiaramente definita e molto disorganizzato, ma è anche vero che ha segnato la storia del Venezuela e che sarà un'ingombrante presenza per il suo futuro. E' vero che ci sarà un Venezuela prima di Chavez, oligarchico e ingiusto, ed un Venezuela del dopo Chavez nel quale probabilmente anche i molti difetti del golpista mancato, dell'istrionico presidente autonominatosi erede di Bolivar, diventeranno mito e rimpianto.

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