[12/02/2013] News

Il bosco di Santo Pietro: la riserva naturale "desaparecida"

Oggi sembra incredibile ma fin dal 1193 e per molti secoli, il bosco di S. Pietro ha rappresentato il più grosso cespite di ricchezza della città di Caltagirone...

Un immenso capitale economico che le consentì, per esempio, di ricostruire autonomamente i principali monumenti pubblici dopo il disastroso terremoto del 1693.

Da una sola "decortica" di sughero si ricavavano fino a 15.000 carretti di preziosa scorza principalmente destinata alla produzione di tappi in una miriade di grandi e piccole fabbriche sparse su tutta la città. Per non parlare dei pascoli, degli affitti, della vendita di legname e di carbone, mentre gli usi civici come il frascaggio, il legnatico, il fungatico, l'erbatico, e la consuetudine della caccia davano ai cittadini la possibilità di integrare i loro redditi, il tutto sotto l'attento controllo di un nutrito drappello di guardie comunali dislocate su quattro presidi armati, vere e proprie caserme dell'epoca, attive fino a poco prima del secondo conflitto mondiale.

Poi , come e' noto, i tempi sono cambiati, il bosco ha cominciato a perdere il suo valore economico e le "distrazioni" e gli atti più o meno volontari in suo danno si sono moltiplicati a velocità sempre maggiore. Tre storiche lottizzazioni peraltro inutili e una "villettizzazione" spesso selvaggia, la progressiva erosione dei confini, sconsiderati rimboschimenti ad eucaliptus realizzati da governi regionali perlomeno incompetenti tra gli anni 50 e 80 e persino una incredibile "riconversione" a pineta spacciata per opportunità occupazionale (l'operazione Sicilfor negli anni 80), l'incuria amministrativa, la piaga sistematica degli incendi dolosi, l'esagerato sviluppo della viabilità interna e la conseguente trasformazione in micro discariche di tanti siti hanno precipitato quell'area in un degrado complessivo, forse irreversibile.

In sintesi, se nel 600 era normale pagare i contratti di affitto in termini di rotoli di carne di cervo reperita sul posto oggi il Bosco di Santo Pietro è soltanto un relitto immerso in un territorio classificato arido e desertico su una fascia altimetrica che dai 400 m. lentamente degrada fino ai 50 metri s.l.m. della medievale Abbazia di Terrana.

Eppure il suo rilievo storico e culturale è ancora molto radicato nel sentimento popolare ed il valore scientifico-naturalistico di questo sito è ancora notevole per l'indice di biodiversità che in esso resiste e si conserva: oltre 400 specie di vegetali alcuni dei quali anche rari, circa 100 di fauna avicola, tendenzialmente in crescita e mammiferi come la Martora, l'istrice, il gatto selvatico; e inoltre rettili come la Testudo hermanni, il Biacco, il Colubro leopardino, la vipera, per non parlare della leggendaria Culovia.

Sempre viva è stata l'attenzione del mondo accademico siciliano nei confronti di questo ambiente e diversi sono stati gli studi fatti e le pubblicazioni prodotte; Emanuele Taranto Rosso nell'800 e il compianto Prof. Marcello La Greca nel 900 sono soltanto due tra i più noti studiosi che hanno condotto approfondite ricerche sul sito.

Inclusa nel piano regionale delle riserve del 1987, istituita nel 1999 e finalmente avviata nel 2000, all'alba del millennio, la Riserva naturale orientata "Bosco di Santo Pietro, dopo appena cinque anni di vita autonoma, nel novembre del 2006, è stata re-inghiottita, nel ventre molle della burocrazia a causa di una mancata pubblicazione del decreto istitutivo non sappiamo bene in quale sperduto albo pubblico, ritornando così nel limbo delle riserve ancora da istituire. Una banalità, un semplice errore materiale che si poteva e si doveva correggere nel giro di qualche settimana ed invece, a distanza di 6 lunghi anni, il blocco persiste, più solido del granito! Le cause? ove non sussistano interessi diversi e meno confessabili si potrebbero senz'altro citare la lentezza, l'inefficienza, l'insensibilità e lo scarso interesse dell'intero apparato politico amministrativo ai diversi livelli.

Evidentemente la gloria e la storia da sole non bastano a restituire la dignità di territorio attivamente protetto a questo fragile relitto di ecosistema, ultimo lembo delle antiche foreste autoctone di tutta la Sicilia Sud Orientale o, meglio, di tutto il Val di Noto.

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