[07/02/2013] News

Ma è una bestemmia dare un valore economico alla biodiversità?

L'iniziativa di Federparchi del 29 gennaio scorso - "Verso gli stati generali delle aree protette" - ha stimolato un ampio dibattito su prospettive, problemi e alleanze che dovremmo affrontare nel breve-medio periodo. Eppure viviamo un momento di crisi nel quale parlare di ambiente non va di moda, perché l'opinione pubblica si è abituata, nel tempo, a non connettere parchi e riserve con l'economia. Ma è davvero così?

Uno dei temi del confronto tra addetti ai lavori di dieci giorni fa ha riguardato il valore economico della biodiversità. Secondo alcuni la biodiversità va protetta a prescindere, solo per motivi etici, senza ricercare per forza un legame con i rapporti di economia, con un vantaggio commensurabile in moneta. È una posizione che dal punto di vista individuale sento di condividere. Credo quindi che sia giusto lavorare molto sull'educazione ambientale per diffondere questi sani principi alle future generazioni. Detto questo però trovo opportuno anche quantificare il valore della biodiversità in termini economici; opportuno e utile ai fini della conservazione, tanto più in un momento di crisi economica mondiale come quello che stiamo vivendo. E questo non lo pensa soltanto il sottoscritto e Federparchi, ma autorevolissimi soggetti internazionali che operano nel campo della tutela e salvaguardia della natura.

L'IUCN, da oltre vent'anni, lega la conservazione della biodiversità a valori di carattere economico. Una pietra miliare in tal senso è stata una pubblicazione del 1998 dal titolo "Economic Values of Protected Areas Guidelines for Protected areas managers". Il testo è un po' datato ma lo consiglio vivamente a chi si vuole interessare di certi argomenti e non ha molta esperienza a riguardo. Successivamente, sempre l'IUCN, ha prodotto numerosi altri documenti in tal senso fino a varie risoluzioni approvate nell'ultimo congresso mondiale tenutosi a Jeju, in Corea del Sud, nel settembre dell'anno scorso. In particolare consiglio la lettura di quelli elaborati dall'Ecosystem servìces group. Sono molto approfonditi, eppure chiari.

L'UNEP - programma dell'Onu per la tutela ambientale - ha da anni sviluppato studi e azioni che pongono come punto fondamentale per la tutela della biodiversità il suo valore economico. Emblematico, in tal senso, è il cosiddetto rapporto Plan blue sul Mediterraneo, nel quale si dimostra la stretta relazione tra tutela degli ecosistemi ed economia.

Il Wwf internazionale ha prodotto numerosi studi e documenti sul valore economico dei servizi ecosistemici. Uno su tutti "The value of wetlands", dedicato alle zone umide. Oppure, sempre con il sigillo del WWF internazionale, The Natural Capital Project, pubblicazione realizzata in collaborazione con le Universitá del Minnesota e di Stanford.

Ora potrei allungare ancora questo elenco ma preferisco buttare là una considerazione, un ulteriore spunto di riflessione. Faccio una domanda: perché organismi e associazioni per i quali sono più che sufficienti le motivazioni di carattere etico nell'impegno di conservazione della biodiversità, perché - dicevo - lavorano con questa intensità sui valori economici? Sicuramente per gli stessi motivi per i quali lo facciamo noi di Federparchi: per convincere chi fa politica, chi governa, chi amministra le istituzioni, chi deve decidere. Per convincerlo, anche là dove non condividesse i nostri valori etici, che gli "conviene" economicamente tutelare la biodiversità. Solo in questo modo, infatti, si contrasta, o meglio si viene incontro - numeri alla mano - con chi sostiene che nei momenti di crisi non si può spendere nell'ambiente perchè sarebbe un lusso. Noi riteniamo che non lo sia. E abbiamo i numeri, dalla nostra parte, per dimostrarlo. Facciamo male ad utilizzare anche questa leva? No, non credo.

 

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