[25/01/2013] News

«L'ambiente č il futuro del lavoro», parola della Cgil: ecco il piano per l'occupazione sostenibile

L'obiettivo a cui il Paese non deve rinunciare è quello della «buona e piena occupazione». Alla presentazione del Piano del lavoro della Cgil, le parole di Susanna Camusso - segretario della Confederazione Generale Italiana del Lavoro - sembrano provenire da un'altra epoca. Adesso, «in Italia la disoccupazione raggiunge livelli senza precedenti, con il 37% di giovani senza lavoro, quasi 3 milioni di persone disoccupate e 3 milioni con lavoro precario».  Cifre «spaventose», come le ha definite Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo, alla conferenza di programma del sindacato.

Ma il piano della Cgil per farla diventare più solida del fantasma che appare, questa piena occupazione, è qualcosa di più del riproporsi delle gloriose alternative keynesiane, che di fronte a questa crisi pluriennale sta tornando di moda - e a ragione - citare. Aspettiamo che sia disponibile nel dettaglio il programma per pronunciare un giudizio compiuto (per quanto possa valere), ma dalla bozza - 27 pagine - che è già adesso disponibile si intravede come la sostenibilità non ne faccia parte soltanto come un accessorio, ma come cardine. E con una prospettiva niente male, sulla carta. Quella di un +2,9% sull'occupazione nel 2013-2015, da finanziarsi tramite 50-60 miliardi nel triennio. Si potrebbero trovare, suggerisce la Cgil, tramite un «riforma organica del sistema fiscale fondata su un recupero strutturale del reddito evaso, un allargamento delle basi imponibili, una maggiore progressività dell'imposizione tributaria». 40 miliardi di euro annui, ai quali aggiungerne 30 tra tagli ai costi della politica, alla redistribuzione della spesa pubblica, al riordino degli incentivi alle imprese.

Dovessimo però riproporre lo stesso gioco a cui abbiamo sottoposto ieri il programma antitetico proposto da Confindustria per il rilancio dell'Italia, dovremmo commentare amaramente che anche tra i fogli della Cgil «la parola green economy compare una volta soltanto». Ma la sostenibilità non è fatta di sole parole. E «anticipando le schede di approfondimento tecnico», lo schema proposto dal sindacato ne appare intriso. Dalla Cgil individuano infatti i seguenti «progetti su cui è urgente intervenire»:

a) riassetto idrogeologico del territorio (piano straordinario);
b) agricoltura non invasiva e compatibile con la sicurezza e l'ambiente;
c) prevenzione antisismica del patrimonio edilizio;
d) messa in sicurezza degli edifici scolastici;
e) edilizia non invasiva legata a processi di riqualificazione urbana e contenimento energetico;
f) sviluppo dei centri commerciali, nuovi modelli di consumo e valorizzazione delle città;
g) risparmio energetico e riduzione dei costi dell'energia con l'impiego di fonti rinnovabili;
h) reti "intelligenti" di gestione dei flussi di energia elettrica;
i) tutela dell'ambiente e bonifiche di siti inquinati;
l) trasporto pubblico locale;
m) infrastrutture per la logistica;
n) sicurezza della navigazione e sistema dei porti;
o) servizi pubblici locali;
p) ciclo dei rifiuti;
q) valorizzazione del patrimonio edilizio dismesso;
r) digitalizzazione del Paese;
s) riforma, razionalizzazione ed efficienza della Pubblica Amministrazione;
t) riforma dell'istruzione;
u) welfare;
v) valutazione dell'istituzione di una banca nazionale di investimento

Qualche lacuna, e non di poco conto, non è possibile nasconderla. In primis la mancanza di un focus dedicato alla governance dei flussi di materia che attraversano la pancia della nostra economia. Cronicamente, ci si interessa, al limite, soltanto allo "scarto" di questo flusso, ossia i rifiuti. Su questo punto rimane ancora molto da lavorare ma, in fin dei conti, quel che è possibile analizzare al momento rimane soltanto la bozza di un piano più dettagliato. Un piano che si mostra promettente, nel complesso. «La crisi che stiamo attraversando non è solo economica - osserva quindi Danilo Barbi, segretario confederale Cgil - ma investe l'intero modello di sviluppo. E per combatterla serve una svolta di politica economica sia in Italia sia in Europa. Bisogna quindi tornare a ragionare sulla natura della crisi», invitando a riflettere sulla «finanziarizzazione dell'economia, cioè la creazione di moneta da moneta, senza quindi produrre merci e servizi; l'eccesso di consumi individuali; il primato della domanda estera e delle esportazioni, tuttora sostenuto da Confindustria; la svalutazione del lavoro, con la conseguente crescita delle disuguaglianze sociali e salariali». Tutti temi che la sostenibilità vera, quella al contempo economica, sociale ed ecologica, guarda assai da vicino.

Per dirla con la Camusso, l'idea della Cgil è quella di «un'idea di trasformazione verso un'industria migliore per produzione e prodotti sostenibili». Le possibilità per il lavoro, in questo campo, sono davvero enormi. Solo per fare qualche esempio, «dal packaging nell'industria alimentare, al riciclo, ai nuovi materiali, c'è un campo infinito di materialità della produzione e di prodotti che può essere innovato e rivoluzionato». Una rivoluzione che incrocia la sostenibilità con la cultura: la crisi, infatti, come ha spiegato l'economista dell'Enea Daniela Palma, ha «un duplice aspetto: internazionale e di ritardo scientifico e tecnologico. Per poter rimettere in moto la crescita occorre ricorrere al patrimonio delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, ma affidare ciò ad un sistema produttivo arretrato non può produrre un risultato soddisfacente, per questo sono necessari gli investimenti».

Non stanca, sotto questo profilo, ricordare che gli studi dell'Organizzazione internazionale del lavoro (non un ente bolscevico, come il nome potrebbe suggerire, ma inerente alla sfera dell'Onu) stimano che «il passaggio verso una economia più verde potrebbe generare tra i 15 e i 60 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo nei prossimi vent'anni». L'Italia non può più tergiversare aspettando a decidere se è il momento di saltare su questo treno oppure no: una volta passato sarà ancora più difficile recuperare il terreno perduto. «L'ambiente è il futuro del lavoro», sottolinea Danilo Barbi, ma anche «il lavoro è il futuro dell'ambiente». Accecati da un modello di sviluppo che ci ha abbacinato con una voglia matta (in tutti i sensi) di consumo ce ne siamo dimenticati, ma non è mai troppo tardi per cambiare strada. 

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