[22/01/2013] News

Il piano Gnudi sul turismo non piace nemmeno a Vivilitalia: il presidente a greenreport.it

Venneri: «Cucire sul nostro Paese un abito su misura, non travestirci con gli abiti degli altri»

Ieri è arrivata la bocciatura di Legambiente del Piano sul Turismo del Ministro Gnudi, un documento considerato dagli ambientalisti troppo generico, buono per un "paese qualsiasi", ma non per l'Italia. Ne abbiamo discusso con Sebastiano Venneri (nella foto), che da circa un anno è presidente di Vivilitalia, la società creata dal Cigno Verde, Extra ed SL&A per occuparsi proprio di turismo ambientale.

Partiamo proprio dal Piano sul Turismo messo a punto dal Ministro Gnudi, è davvero così impresentabile?

E' un Piano Strategico che manca proprio di strategia. Sembra scritto per un Paese qualsiasi, come abbiamo detto, ma l'Italia è l'Italia, un Paese unico al mondo e proprio per questo motivo apprezzato e visitato. Immaginare per l'Italia ricette che hanno fatto la fortuna di altri Paesi significa aver capito poco o nulla di questo Paese e delle ragioni che spingono qui tanti visitatori.

Può fare qualche esempio?

Prima di tutto la filosofia di fondo: in sostanza gli estensori del piano individuano il male peggiore del nostro Paese nella mancanza di gigantismo, nell'eccessiva polverizzazione delle imprese, nell'assenza di grandi poli turistici. C'è un passaggio emblematico quando si sottolinea con rimpianto che l'Italia da circa 50 anni, dalla costruzione della Costa Smeralda, non produce grandi nuovi prodotti turistici. C'è l'idea insomma che il problema sia squisitamente infrastrutturale: se costruiamo qualche nuova Costa Smeralda, naturalmente "sostenibile", il turismo al Sud decollerebbe. Questo è un approccio vecchio, che andava bene per le Baleari negli anni "70, sotto il franchismo, quando la Spagna aveva bisogno di presentare un volto accogliente al resto del mondo e diede il via alla cementificazione della costa che fece di quelle isole uno dei poli turistici più importanti del Mediterraneo. Il Piano Gnudi fa l'errore di prendere le Baleari come esempio, come modello di riferimento. E' vero che le isole spagnole da sole fanno undici volte i turisti della Sicilia, ma copiarne il modello di infrastrutturazione sarebbe una follia.

Resta il fatto che l'Italia perde posti in classifica.

Questo non è propriamente vero. E' giusto dire che il turismo nel nostro Paese sta conoscendo un'evidente crisi, ma riconducibile più alla flessione del mercato interno, mentre si registra una sostanziale tenuta sul fronte delle presenze internazionali, anche in un contesto congiunturale così sfavorevole come quello dell'anno appena trascorso. La sensazione è che all'estero ci sia, nonostante tutto, una straordinaria voglia d'Italia, nonostante l'assenza di politiche di rilancio, la mancanza di strategie, nonostante il settore turistico vivacchi fra ministri improvvisati e assessori di secondo piano. Dopodiché è evidente che qualcosa vada fatta, ma bisogna cucire sul nostro Paese un abito su misura, non possiamo travestirci con gli abiti degli altri. Se si cercano le caratteristiche che rendono ancora competitiva la nostra offerta turistica sul fronte internazionale si scopre infatti che l'Italia tiene quando e dove afferma la propria unicità, dove cioè la proposta meglio si intreccia con le produzioni agricole d'eccellenza, con i territori tutelati e di pregio, con la qualità dei centri minori e così via, tutte parole che mancano completamente nel Piano Gnudi. In definitiva il turismo tiene e cresce quando l'offerta si libera dei modelli standard internazionali (il format del villaggio turistico, per capirsi, in passato pure perseguito con le politiche messe a punto dal contenitore di Sviluppo Italia), per far leva sulla ricettività diffusa, su un'ospitalità di qualità, spesso affidata all'iniziativa spontanea dei singoli, che riesce a restituire e a riaffermare una sorta di modello unico italiano. Un modello unico e irriproducibile che fa leva, al momento, su una crescita disordinata e turbolenta di una miriade di offerte turistiche alle quali mai nessuno ha pensato di offrire un'adeguata strategia in grado di cucirle come in un patchwork. Si tratta allora di definire le politiche e le iniziative che possano promuovere e favorire lo sviluppo di questi nuovi tipi di offerta.

Ma parliamo ancora di piccoli numeri, di turismi di nicchia...

Ma è il turismo di massa che sta segnando il passo a favore, come dicono gli esperti, della "massa dei turismi". E' vero che si tratta di turismi di nicchia, ma sono nicchie sempre più grandi e, soprattutto, sempre più numerose: il cicloturismo, l'escursionismo a piedi, il turismo sportivo, quello dei birdwatchers, la subacquea, il turismo religioso, quello naturalistico. E poi il turismo enogastronomico che praticamente li attraversa tutti.  Se fossi al posto di Gnudi allora la prima cosa che farei sarebbe quella di convocare gli Stati generali dei nuovi turismi, cioè offrire un contesto all'interno del quale le nuove offerte turistiche possano trovare humus favorevole e fattori di crescita. Il Governo dovrebbe stimolare in questo senso una progettualità e soggettività dal basso che faccia tesoro di quanto già oggi esiste sul mercato, ma solo in virtù di iniziative individuali e spontanee che non trovano adeguati strumenti. Il Governo dovrebbe favorire l'emersione di questi nuovi soggetti inquadrandoli in un contesto di regole e di adeguati standard di qualità, trasparenza e legalità. Bisognerebbe inoltre predisporre un'adeguata strategia di supporto sulla mobilità che accompagni la crescita dei nuovi turismi facendo leva su un'infrastrutturazione leggera dei territori (trasporto su ferro, ciclovie, vie pedonali, ecc.).

Resta il fatto che il mercato interno langue.

Anche qui il discorso è più complicato e rimanda a un sostanziale cambiamento del modello di vacanza sempre più orientata verso viaggi brevi e frequenti. Basti considerare che fra il 1998 e il 2008 il numero dei viaggi di piacere dei cittadini dell'Ue è aumentato del 47% con una crescita del 75% dei viaggi brevi e del 25% di quelli lunghi. E ancora, in Italia dal 2009 il numero di microvacanze (ovvero di viaggi brevi fino a tre notti) ha superato quello dei viaggi più lunghi. E la vacanza non solo è cambiata nella quantità, ma anche nella sostanza: a vacanza breve corrisponde tragitto breve, e questo appare come un fenomeno strutturale, non dettato non solo dagli effetti di una congiuntura economica negativa. Siamo, infatti, davanti a motivazioni differenti che giocano ruoli importanti: senza dubbio una vacanza in un luogo vicino è nettamente più conveniente per il proprio "portafoglio", poiché si ottiene lo stesso risultato (una vacanza) con minore sforzo (spendendo di meno); ma riemerge anche la "coscienza verde" che presta attenzione al viaggio per tratte meno lunghe e alle modalità di trasporto eco - compatibili, appunto in considerazione dell'impatto ambientale. Il nuovo format che si sta configurando come centrale sul mercato turistico è quello delle microvacanze a chilometro zero (un ossimoro solo apparente...), in cui vi è una maggiore rivendicazione dello spazio prossimo, delle "bellezze" tanto più sorprendenti perché inattese e vicine, una ricerca del godimento che si incrocia con l'affermazione della propria identità nazionale, nonché una crescente, e sempre più convinta, responsabilizzazione al risparmio energetico ed alla riduzione di emissioni nocive per l'ambiente.

Il turismo che incrocia i temi ambientali, quindi...

Da tempo c'è un turismo che fa bene all'ambiente e non è solo fattore di pressione. Ma c'è un discorso più generale legato ai valori che permeano sempre di più gli oggetti di consumo. Non so se ti è capitato di vedere la pubblicità della nuova Audi, un fantastico affresco per l'Italia che l'Enit non avrebbe saputo fare. Peccato che non gira all'estero dove compaiono spot simili fatti per gli altri Paesi. Ma a ben pensare anche questo è sintomatico: che una grande azienda automobilistica sottolinei per ciascun Paese non più l'elemento della potenza, della velocità o i grandi spazi delle autostrade, ma le più pittoresche stradine provinciali, le aree di maggior pregio, i parchi, i centri storici, che esalti insomma tutto ciò che definisce l'identità di un Paese è un segno che i valori sono entrati con forza nel mondo dei consumi. E la pubblicità, si sa, arriva sempre prima della politica e della pubblica amministrazione.

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