[08/01/2013] News

Basilea 3, altro flop che fa male all'economia e all'ecologia

Le «esternalità» della banche sono un costo per tutti. Ma l'austerity a loro non tocca

Basilea 3, la già zoppa riforma per rafforzare la regolamentazione, la vigilanza e la gestione del rischio del settore bancario, è stata ulteriormente alleggerita e diluita nel tempo: il Comitato ha deciso che i nuovi criteri sulla liquidità delle banche potranno essere raggiunti scaglionandoli fino al 2019. Procedere ad una stretta più repentina potrebbe frenare la disponibilità delle banche a concedere liquidità a imprese e famiglie, è stato detto. Forse dimenticando un precedente: le stesse famiglie e imprese, i mille miliardi già concessi dalla Bce alle banche europee al tasso dell'1% non li hanno neanche intravisti passare.

La scelta compiuta su Basilea 3 non coinvolge "soltanto" una questione di (mancata) equità e giustizia di fronte ad un comparto, quello finanziario, dal quale - non dimentichiamolo - è partita la crisi che ha investito successivamente i conti pubblici degli stati, adesso in profondo rosso dopo aver sorretto un sistema creditizio al collasso. Piuttosto, si perpetua così un andamento della funzione bancaria da tempo non più sostenibile. Lo stesso Sole24Ore, il principale quotidiano economico nazionale, titola oggi in prima pagina «Basta regali, ora si faccia una riforma vera», bollando come «perdente» l'approccio di Basilea.

«L'approccio di Basilea - argomenta nel pezzo Donato Masciandaro, ordinario di Economia politica alla Bocconi - si è rivelato perdente perché ha dato la risposta sbagliata alla domanda fondamentale per cui è necessario sottoporre le banche ad una vigilanza particolare. Le banche sono infatti imprese speciali: possono creare del loro debito che noi utilizziamo come mezzo di pagamento (depositi) per finanziare altro debito, cioè credito per le imprese, le famiglie e lo Stato. Ed allora il quesito cruciale è: come evitare che le banche possano causare danni sistemici all'economia in cui operano? Le possibili risposte a tale quesito sono essenzialmente tre: si può tassare il rischio, oppure vietare il rischio, oppure ponderare il rischio».

Questa triplice scelta per contrastare tali «esternalità» (così Masciandaro definisce i «danni sistemici» di cui sopra) ricorda vagamente alcuni dei più tradizionali elementi d'intervento per indirizzare ecologicamente un sistema economico. Ossia, la tassa pigouviana (una tassa per internalizzare i costi esterni del degrado ambientale, ad esempio sull'inquinamento), lo standard con le relative multe (si fissa un limite massimo di inquinamento consentito, se si eccede si va incontro ad una sanzione), ed infine i permessi negoziabili (come l'European emission trading system, un mercato delle emissioni di carbonio), lo strumento più flessibile dei tre.

Anche «ponderare il rischio» è la forma più tenue di regolamentazione, delle tre individuate da Masciandaro. Può rivelarsi certamente utile - come nel caso del mercato del carbonio - ma nella situazione data non è più sufficiente. Per continuare il parallelismo, l'economia ecologica ci ricorda che le esternalità sono una delle cause del fallimento del mercato, e dare un prezzo all'ambiente non sempre è una strategia risolutiva. Raggiunta una certa soglia, meglio procedere per tassazione che con i permessi negoziabili, o ancora di più introducendo standard (lo strumento più rigido) da rispettare. Una volta ripulito il terreno si potrà tornare a strumenti più "intelligenti" nella gestione del rischio, ma un rischio troppo grande non è più possibile sopportarlo, specialmente se il costo è sempre sulle spalle della collettività.

Dopo l'ennesima sconfitta di Basilea, forse è dunque necessario tornare a chiedersi se non si debba procedere più duramente lungo la strada di regolazione di un sistema bancario che ha perso il senso della sua originaria ed utilissima funzione (quella di dare respiro all'economia reale), inoltrandosi piuttosto nel groviglio degli interessi privati. Altrove, questo argomento è già sul tavolo della discussione: come riportato ieri sulle nostre pagine, in Germania la sinistra ha proposto stringenti manovre d'intervento, avvallate dal più importante ente di ricerche economiche del Paese. La comunità internazionale (e anche la politica italiana, avvolta in una campagna elettorale dove questi temi continuano inspiegabilmente a rimanere marginali) stavolta avrebbe sicuramente un vantaggio dall'ascoltare i cugini teutonici. Ma, evidentemente, la famosa austerity si preferisce dirottarla su altri lidi.

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