[03/01/2013] News

Il "fantozziano" naufragio nell’Artico della piattaforma Shell (PHOTOGALLERY)

Ben Ayliffe (Greenpeace): «L'estrazione petrolifera artica č una monumentale cattiva idea»

Nell'Artico il 2012 è finito male e il 2013 è iniziato ancora peggio per le ambizioni della Royal Dutch Shell: nella notte del 31 dicembre una sua piattaforma di perforazione petrolifera ha spezzato il cavo di traino mentre veniva spostata verso la sua sede invernale a Seattle, nello Stato di Washington, e si è arenata sulla costa dell'isola di Sitkalidak, in Alaska. Il mare in tempesta non permette di raggiungere la piattaforma  che ha a bordo 139.000 galloni di diesel e 12.000 galloni di olio idraulico. La Guardia Costiera Usa ha detto che per ora non si segnalano sversamenti che potrebbero inquinare il Kodiak National Park, ma un suo portavoce ha sottolineato: «Non conosciamo il danno. E 'troppo buio. Il tempo è orrendo».

La Shell e la US Coast Guard sono attualmente al lavoro per capire come intervenire, ma i loro sforzi fino a ieri erano gravemente ostacolati da «Condizioni meteorologiche estreme e dal mare cattivo», con onde molto alte.  

La dinamica dell'incidente dimostra che tutte le preoccupazioni erano reali: la piattaforma veniva rimorchiata verso il suo porto invernale dopo la stagione estiva di perforazione quando ha avuto problemi seri ed ha colpito la costa. Il 27 dicembre la Kulluk veniva trainato dal Mar Artico dal rimorchiatore Aiviq quando è incappato in una perturbazione nel Mare di Bering che ha causato la rottura del cavo di traino lungo 400 piedi, così la piattaforma è andata alla deriva. Il 28 dicembre l'Aiviq è riuscito a riagganciare la Kulluk, ma ha avarie ai motori  a 50 miglia a sud Isola di Kodiak, così la piattaforma è nuovamente rimasta in balia del mare in tempesta e dei forti venti. Il 29 dicembre l'equipaggio della Kulluk è stato evacuato da un elicottero della Guardia Costiera Usa e sono state eliminate le linee di ancoraggio con le quali si stava tentando di rallentare la deriva verso la costa. Il 30 dicembre sono stati ricollegati i cavi di traino, ma si sono spezzati ancora una volta. Il 31 dicembre Aiviq ha nuovamente ripristinato il collegamento con la Kulluk a circa 19 miglia al largo della costa dell'isola di Kodiak e ha  iniziato a trainarla verso Port Hobron in Alaska. Ma nella notte dell'ultimo dell'anno la Kulluk ha nuovamente rotto i cavi di traino a soli 4 miglia dalla costa e poco dopo si è incagliata a Sitkalidak.

Il nuovo incidente petrolifero nell'Artico americano conferma che le perforazioni petrolifere in un ambiente così estremo, autorizzate dall'amministrazione di Barack Obama ed osteggiate dalle associazioni ambientaliste, sono troppo rischiose e che il gioco delle Big Oil non vale la preziosissima e delicata fiaccola dell'ambiente artico.

Ben Ayliffe, direttore della campagna polare di Greenpeace Usa, dice che il naufragio «E' un altro esempio del perché l'estrazione del petrolio nella regione artica sia una monumentale cattiva idea». Ai piani della Shell di perforazione dell'Artico Usa si oppongono non solo gli ambientalisti ma anche le popolazioni indigene e diverse comunità locali. La Shell è solo in grado di operare solo durante la breve estate artica prima che il ghiaccio invernale impedisca ogni attività, ma questo significa anche che una marea nera causata da un incidente al termine della stagione potrebbe essere impossibile da bonificare. Un rischio che è stato recentemente ribadito anche dalla Guardia Costiera Usa dopo aver condotto il suo primo test dei sistemi di recupero di idrocarburi per la bonifica di un potenziale sversamento nell'Artico. «Non funziona nelle acque gelate ma funziona nelle acque aperte dell'Artico» ha spiegato l'ammiraglio Thomas Ostebodisse.  Il leader democratico della Commissione risorse naturali della Camera dei rappresentanti Usa, Ed Markey, ha detto che «Questo ed altri incidenti evidenziano i pericoli della trivellazione offshore nell'area. Le compagnie petrolifere non possono attualmente praticarle in sicurezza nelle condizioni già difficili dell'Artico e l'espansione delle trivellazioni potrebbe rivelarsi disastrosa per questo ambiente sensibile».

Ayliffe sottolinea: «Sappiamo già del terribile impatto che gli sversamenti possono avere in Alaska. Nel 1989 la petroliera Exxon-Valdez si è schiantata a Reef Bligh ed ha sversato centinaia di migliaia di barili di petrolio nel Prince William Sound, ricoprendo vaste aree di mare e di costa con uno spesso  rivestimento di greggio e uccidendo migliaia di uccelli marini, lontre, foche ed orche. Ancora oggi la regione ne soffre gli effetti. Purtroppo, questo tipo di incidente, questa volta con la  Kulluk, non è nuovo per la Shell. I suoi tentativi di trivellare il  petrolio nei mari gelati di Chukchi e Beaufort sono stati funestati da incidenti e disavventure in ogni fase del loro cammino: dalle navi di perforazione arenate ai motori incendiati, dall'insuccesso delle ispezioni si sicurezza alle apparecchiature essenziali che possono essere "schiacciate come una lattina di birra", i tentativi della Shell di trovare petrolio nella regione artica sono barcollati da una farsa costosa e spericolata ad un'altra».

In effetti questa serie di incidenti dimostra che le piattaforme artiche della Shell hanno forse quel "livello mondiale" di affidabilità vantato dalla multinazionale petrolifera, ma che questo livello evidentemente non basta in un ambiente estremo come l'Artico, dove una tempesta come quella di fine anno è la regola e non l'eccezione.

Secondo  Ayliffe  «L'incagliamento della Kulluk dimostra ancora una volta quanto la Shell sia assolutamente incapace di operare in sicurezza in uno degli ambienti più remoti ed estremi del pianeta. Che non siano in grado di evitare il rischio di una fuoriuscita di petrolio nell'ambiente incontaminato del gelido nord sarebbe quasi comico. Invece è tragico. Piuttosto che aprire l'estremo nord a più compagnie petrolifere abbiamo bisogno di mantenere questo luogo fragile off-limits per l'industrializzazione avventata. Unisciti quindi a noi ora per aiutare Save The Arctic!».

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