[02/01/2013] News

Un passo avanti per gli Usa, dieci indietro per l’Europa: arriva il fiscal compact

Istruzione, industria, sostenibilità: per migliorare occorre investire. Ma le premesse…

Fiscal cliff Vs fiscal compact: il 2013 si apre all'insegna del buonsenso economico americano, contrapposto stavolta al non-sense europeo. La forbice tra le due rive del nord Atlantico, all'alba del nuovo anno, è tanto ampia da far brillare anche con più risalto del dovuto un accordo - quello tra repubblicani e democratici, in terra statunitense - al ribasso e conquistato davvero all'ultimo secondo prima dello scoccare del gong. La politica made in Usa ha giocato al gatto col topo (dove il topo era rappresentato dall'intero Paese) in un empasse che ha rischiato fino all'ultimo di piombare gli Usa nel precipizio fiscale, dopo un attendismo di merkeliana memoria.

Fatto sta che l'accordo, alla fine, è passato in tempo col via libera della Camera. E mette nel mirino i più ricchi. L'aliquota sui redditi oltre i 400.000$ (Obama avrebbe giustamente preferito una soglia più bassa, 250.000$) torna infatti al 39,6%, aumenta quella sulle rendite finanziarie, come in ascesa è anche la tassa di successione. «Abbiamo salvato il 98% dei contribuenti», ha esultato il presidente di fronte ad una manovra che vale (in 10 anni) 600 miliardi di dollari. Uno sforzo necessario, che permette alla mano pubblica di sostenere ancora un'economia che non può essere lasciata in pasto al solo libero arbitrio del mercato. Nemmeno nella patria del capitalismo.

Nella culla che ha visto nascere la (social)democrazia - ossia la nostra Europa - il 1 gennaio 2013 si trascina in dote il fiscal compact, il patto oneroso (sono previste multe nel caso non venga rispettato) che incatena gli stati al pareggio di bilancio, obbligo inserito in Costituzione (articolo 81) anche dall'Italia. «I Paesi che fino ad oggi hanno ratificato il patto - riporta la Repubblica - sono dodici (fra cui anche l'Italia, l'ultima a farlo è stata la Finlandia), numero sufficiente a farne scattare l'entrata in vigore fin da adesso». L'equilibrio da rispettare, dunque, è «fissato in questi termini: il deficit strutturale del Paese (al di fuori degli elementi eccezionali e del pagamento degli interessi sul debito) non potrà superare lo 0,5% del Pil valutato a prezzi di mercato. Per i Paesi che hanno un debito al di sotto del tetto del 60% del Pil il margine di tolleranza raddoppia e sale all'1%». Fuori da questi termini, multa (a meno che in Europa si decida il contrario, a maggioranza dell'85%). «Questo per i conti dell'anno, ma non basta. Il fiscal compact prevede infatti l'obbligo di rientrare verso il tetto del 60% del rapporto debito/Pil al ritmo di un ventesimo l'anno per la parte eccedente».

La chiamano "la regola d'oro". Sembrano lontani i tempi in cui questa espressione stava ad indicare soltanto la base dell'etica umana, quel «Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro». Adesso tale regola si è trasformata in un semplice principio contabile, che con tutta probabilità verrà in qualche modo disatteso. Qualche scappatoia è già tracciata, come nel caso degli investimenti pubblici possibili in caso di ciclo economico avverso. Ma, nel complesso, il fiscal compact rimane svilente.

Intanto, l'economia Usa continua la sua magra ma presente ripresa, mentre l'Europa e l'Italia rimangono al palo, con previsioni ancora fosche all'orizzonte. Paolo Bricco, sul Sole24Ore, commentando i risultati dell'ultimo studio Ceris, l'istituto di ricerca di economia industriale del Cnr, osserva che «La traiettoria del sistema industriale è stata deviata dal contagio finanziario. Dalle capitali dei mercati globali alla vecchia Europa. E al nostro Paese. Gli sguardi attoniti dei ragazzi di Lehman Brothers, mentre escono con gli scatoloni di cartone dalle sedi di New York e di Londra il 15 settembre del 2008, hanno ceduto il passo agli affanni dei medi industriali e degli artigiani italiani».

Come può l'Italia riconquistare la propria strada verso il benessere? Una risposta preconfezionata non esiste, forse per fortuna. Sicuramente, come ci ricorda Edgar Morin, affrontare la crescente complessità del mondo che ci sta di fronte presuppone una visione della stessa aperta e sfaccettata, non legata a dogmi - politici o contabili che siano. Prendere consapevolezza dell'economia come sistema aperto alle criticità della società e dell'ecosistema è il primo passo per costruire un nuovo paradigma economico davvero sostenibile, e non solo sulla carta dei bilanci di fine anno.

Per far questo, investire in cultura, ricerca e istruzione è la priorità (senza spingersi a tratteggiare nuove "regole d'oro"). La sola che potrebbe permetterci di dare vita ad un'industria sostenibile e ad alto valore aggiunto, capace ed appetibile anche in un mondo globalizzato. Per far questo, però, servono risorse pubbliche e uno stato volenteroso. L'arrivo del fiscal compact è una pessima notizia: ma non è ancora troppo tardi per iniziare a porsi sul serio il problema.

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