[03/12/2012] News

Cina, l'impervia strada per ridurre i consumi di carbone e i piani nucleari

Si punta sull'idroelettrico ma solo quello delle grandi dighe

Come se non bastassero quelle attuali, la Cina sarebbe pronta a puntare forte sulla realizzazione di nuove dighe sull'intero territorio nazionale. Qualora, come paventato da varie fonti di informazione, il premier Wen Jiabao dovesse rassegnare le sue dimissioni (è in carica dal 2003), la nuova amministrazione potrebbe investire una cospicua fetta del bilancio dell'ex Impero di Mezzo per progetti idroelettrici. Il tutto per raggiungere gli ambiziosi obiettivi energetici fissati entro il 2020.

Secondo il portale internet Asia One, in Cina le nuove costruzioni di grandi dighe hanno subito un rallentamento notevole sotto Wen Jiabao, che sarebbe intervenuto personalmente per bloccarne alcune al fine di evitare serrate proteste da parte delle popolazioni locali. In quello spicchio di mondo progetti come la celeberrima diga delle Tre Gole sono da tempo sotto l'occhio dei riflettori, criticati per l'enorme costo sociale e ambientale che il Paese sta pagando per inseguire lo sviluppo.

Costata oltre 40 miliardi di dollari, almeno a dar retta alle cifre ufficiali del governo cinese, nei 17 anni che ci sono voluti per realizzarla ha provocato lo sfollamento di un milione e 300mila persone.

Un conto ancora aperto, secondo quanto affermano un reportage della Reuters dell'agosto scorso e altri articoli di stampa pubblicati negli ultimi mesi.

È infatti scontato che in migliaia dovranno ancora lasciare le loro abitazioni e causa della minaccia di frane che incombe su una vasta area impattata dalla costruzione della diga sullo Yangtze (il cui conseguente bacino artificiale ha la stessa superficie dell'isola di Singapore).

Come si può evincere esaminando casi eclatanti come quello delle Tre Gole, in Cina negli ultimi due decenni il livello di rischio idro-geologico è aumentato del 70 per cento. Ciò nonostante il modello economico di una "crescita a tutti i costi" starebbe spingendo la nomenclatura cinese a puntare ancora e di più sull'energia idroelettrica, ritenuta l'unica alternativa di rilievo a carbone e nucleare e, rispetto ad esse, meno osteggiata dal dissenso popolare.

Il governo intende del resto aumentare la potenza totale installata di quasi la metà entro il 2020: dai 1.060 gigawatt calcolati a fine 2011 a 1550. Accompagnando ciò con la riduzione dei consumi di carbone e limitando la crescente e costosa dipendenza dalle importazioni di gas. Pechino starebbe anche cercando di aumentare la quota di combustibili non fossili al 15 per cento del suo mix energetico totale entro il 2020 (9,4 per cento nel 2011) e ha ridimensionato i suoi piani nucleari a seguito di quanto accaduto nel vicino Giappone con il dramma infinito della centrale di Fukushima.

Una prospettiva finora ostacolata dal premier - definito "geologo di professione e populista per istinto" -, che avrebbe posto il veto su una serie di dighe nell'incontaminata provincia dello Yunnan e sul fiume. Un progetto, quest'ultimo, per ora accantonato, ma ancora elencato tra quelli di sviluppo chiave per il periodo 2011-2015.

Insomma, prepariamoci ad assistere a una escalation dei giganteschi sbarramenti in Cina, un po' come sta accadendo già in altre regioni del mondo.

Torna all'archivio