[30/11/2012] News

Ilva, industria e ambiente: greenreport si schiera con il lavoro e la sostenibilità

Greenreport.it non sarà mai dalla parte di chi sogna un mondo senza industria. Lo ribadiamo perché abbiamo la netta impressione che il caso Ilva segnerà il nuovo confine tra gli ambientalisti pasdaran che si collocano tra il luddismo e i figli dei fiori e chi, come noi appunto, crede nella riconversione ecologica dell'economia.

Chiudere una fabbrica come l'Ilva tout court, senza nemmeno tentare di ambientalizzarla, per greenreport non può essere una vittoria. Mai. Perché si farebbe sulle spalle dei lavoratori e perché non si sposterebbe di un centimetro l'asse della sostenibilità. Se anche si trovasse la soluzione ai dipendenti che perderebbero il posto, l'esperienza (da noi in Toscana ne sappiamo qualcosa, a Massa e in altri poli industriali dismessi) ci dice che avremmo una bomba ecologica (stavolta senza nessuna enfasi) praticamente impossibile - causa costi - da disinnescare. E una proprietà che dopo il danno sarebbe praticamente esautorata dal pagare pegno.

Si dirà che con la chiusura almeno non si morirebbe "più di Ilva", tuttavia il territorio avrebbe chilometri di fabbrica abbandonata e il Paese una delle ultime grandi industrie del sud chiuse. Condividere - pur con un appunto di metodo che espliciteremo più avanti - il percorso messo in atto dal governo, non significa per noi essere filomontiani o piddini. Noi da sempre, pur con le nostre ben note idee politiche, valutiamo le cose con il criterio direttore della sostenibilità, e un percorso di due anni durante il quale si tenta in tutti i modi di rendere l'Ilva una fabbrica che sta dentro le regole è una decisione sacrosanta. Un favore alla famiglia Riva? Noi non lo vediamo così. Anzi, ecco l'eccezione di metodo, la nostra idee è quella di ovviamente far fare alla magistratura il suo dovere, e se questa deciderà di condannare l'attuale proprietà a quel punto dovrà essere lo Stato a farsi carico di far pagare a loro pur sempre la bonifica e poi trovare un nuovo acquirente.

E il compito del governo che verrà, inoltre, è proprio qui che può misurare la sua determinazione e la sua concretezza nel cercare di tirar fuori dal pantano la nostra economia. Oggi il Sole24Ore in un pezzo di Paolo Bricco spiega benissimo che "impresa" sia fare impresa in Italia. Con tutto il male che si può dire di quanti hanno sfruttato o sfruttano i lavoratori o messo il business davanti all'ambiente relegandolo all'ultimo posto delle questioni da affrontare; non c'è dubbio sul fatto che tra tasse, burocrazia e costi energetici - compensate tropo spesso con la furbizia fiscale o le regalie governative - in Italia le imprese che vogliono fare le cose correttamente siano in una posizione assai più sfavorevole del resto dell'Europa.

E' comunque l'assenza di un piano industriale nazionale che sta mostrando più di ogni altra cosa come sia difficile andare avanti (a parte qualche lodevolissima eccezione); e i dati di oggi dell'Istat - tasso di disoccupazione a ottobre che supera la soglia dell'11%, in rialzo di 0,3 punti percentuali su settembre e di 2,3 punti su base annua e tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) al 36,5%  (il livello più alto sia dall'inizio delle serie mensili, gennaio 2004, sia dall'inizio delle serie trimestrali, IV trimestre 1992) - confermano anche che ruolo abbia l'industria nell'occupazione. Ma per quanto importante che sia il futuro (speriamo) piano industriale italiano dovrà anche avere una fortissima e radicale e fondativa anima green se vogliamo davvero svoltare sul piano sociale, economico ed ecologico.

Non ascoltare ancora una volta gli allarmi che arrivano da Doha (summit sul clima); non metter mano alla speculazione sulle materie prime; insomma non riconoscere (come invece fa proprio quel piano Ue chiamato Horizon 2020, di cui anche Confindustria apprezza l'impostazione scordandosi sempre di ricordare quando ecologico sia questo programma) l'importanza anche strategica di avere un'industria verde, sarebbe davvero un tragico errore. Non solo, sarebbe una scelta sbagliata e un "delitto" preterintenzionale, vista l'evidenza dei fatti. Va poi anche detto infine che noi nell'industria verde ci mettiamo anche quella della cura e della messa in sicurezza del territorio che, dalla Toscana alluvionata alla Taranto avvelenata, ci ricordano quanto questo Paese abbia trascurato la sicurezza e la salute dei suoi cittadini e quanto quei cittadini abbiano preferito affidarsi a chi li trascurava.

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