[20/11/2012] News toscana

Dopo le alluvioni e non solo: serve una nuova idea di sviluppo

Stavolta sembra che l'alluvione abbia scosso la coscienza dei nostri amministratori. Per la prima volta non si è parlato di calamità naturale, anzi, si è preso atto che i cambiamenti climatici ci esporranno anche in futuro a rischi crescenti e che le responsabilità dei danni alluvionali sono della nostra cattiva gestione del territorio. Dalle commissioni consiliari è emersa la necessità di elaborare una mappa puntuale delle criticità idrogeologiche e un piano di messa in sicurezza di tutto il territorio. Anche il sindaco ha criticato aspramente il tombamento dei corsi d'acqua operato alcuni decenni fa.

Pur valutando molto positivamente questa presa di coscienza, la riteniamo del tutto inadeguata ad affrontare il rischio alluvionale. Essa infatti è illusoria sia perché confida in un grande piano di interventi finanziato dallo stato, sia perché si illude di poter risolvere il problema senza mettere in discussione la concezione dello sviluppo e la gestione del territorio che sono le vere cause del rischio alluvionale.

Oggi, ad esempio, siamo tutti d'accordo che la tombatura dei corsi d'acqua è stata un errore; ma va ricordato che essa era fortemente voluta dagli amministratori di allora, convinti che "conquistare" territorio da urbanizzare fosse sinonimo di sviluppo e progresso.

Analogamente, tutti sanno che l'edificazione nelle aree inondabili è un grave errore, tanto è vero che anche la normativa la vieta. Tuttavia è stato escogitato un cavallo di Troia che trasforma una norma ispirata alla prudenza in un tragico gioco d'azzardo: si costruisce un argine ed ecco che nell'area così "messa in sicurezza" i vincoli edificatori decadono. È chiaro a tutti che, in caso di crollo arginale (com'è avvenuto la settimana scorsa sul torrente Parmignola) o di precipitazioni più intense del previsto, l'area sarà inondata e, se è stata urbanizzata, i danni schizzeranno alle stelle. Ma la legge lo permette e, soprattutto, gli amministratori lo vogliono fortemente.

Il buonsenso suggerisce di proteggere l'area per ridurre la frequenza d'inondazione degli edifici già esistenti, ma di non costruirvene altri per evitare l'aumento dei danni. Ma per troppi amministratori il fine ultimo delle opere di messa in sicurezza è proprio il via libera all'urba­nizzazione delle aree a rischio.

Che non si tratti di ipotesi, ma della cruda realtà, lo dimostra il nostro piano strutturale. Sebbene nella carta della pericolosità idraulica mostri estese aree a rischio, il piano prevede la loro "messa in sicurezza" (argini, scavo degli alvei, rifacimento di ponti, ecc.), seguita finalmente dall'edificazione. Ad esempio, per l'ambito Marina-Levante prevede di riempire i "vuoti" delle pinete con una colata di cemento in un'area a pericolosità idraulica molto elevata! Nell'adiacente area di Villa Ceci prevede l'insediamento di 1471 abitanti (rispetto ai 100 attuali). D'altronde per l'area di Battilana, inondata la settimana scorsa, l'assessore Andrea Vannucci ci ha più volte rassicurato: man mano che i fattori di rischio saranno eliminati, si potranno rendere edificabili anche le zone che prima non lo erano. E così via: la stessa logica è applicata a tutte le aree inondabili.

Se aggiungiamo che gli alvei del Carrione e del Parmignola sono pensili e che i livelli di pericolosità cartografati sono fortemente sottostimati (in quanto non tengono conto del recente intensificarsi degli eventi estremi) è evidente che urbanizzare queste aree è una vera follia. Sappiamo dunque già chi sono i responsabili delle future alluvioni.

 

Ci auguriamo che i nostri amministratori abbiano il coraggio di rimettere mano al piano strutturale eliminando le previsioni edificatorie nelle aree inondabili. È questo il vero test che misura l'effettiva volontà di prevenire i danni alluvionali.

 

Merita osservare che questa scelta sarebbe anche un'occasione unica per vera rinascita di Carrara: interrompere il consumo di suolo, infatti, indirizzerebbe l'attività edilizia al recupero, risanamento, restauro, riqualificazione del nostro patrimonio edilizio, già sovrabbondante rispetto alle esigenze. Anziché riempire di cemento gli ultimi spazi, avremmo edifici più funzionali e decorosi, e più verde: i cittadini non potranno che ringraziare.

 

Ma dove reperire le risorse per rimediare ai danni alluvionali di oggi e per sistemare il territorio, visto che le casse dello stato sono esangui? Anche in questo caso serve un cambiamento radicale delle priorità. La sistemazione del territorio è la vera e più grande opera pubblica di cui il Paese ha bisogno e, oltretutto, sarebbe un investimento molto redditizio poiché ci permetterebbe di risparmiare le somme ben più ingenti dei danni alluvionali. Perché allora dilapidare miliardi nelle "grandi opere" (ponte sullo stretto, TAV Torino-Lione, ecc.) e nelle spese militari?

 

Anche per la rinascita dell'Italia ciò che serve davvero non è il credito internazionale, ma una nuova idea di sviluppo: rinascita civile, lotta alla corruzione, all'evasione, agli sprechi e una gestione orientata al bene dei cittadini. Insomma, cambiare o rassegnarsi ad affogare.

 

Torna all'archivio