[19/11/2012] News

Rinnovabili. L'economia di carta le frena, quella reale le premia: è chiaro il nesso?

In un mondo complesso non servono oracoli

Enel perde una stelletta dal medagliere della finanza. L'agenzia di rating Moody's ha infatti recentemente declassato il colosso italiano dell'energia, decretando un out look negativo per il lungo termine. Come mai? Moody's spiega che la decisione deriva dalle «sfide macroeconomiche, politiche e regolatorie che le utilities affrontano in Italia e Spagna, anche alla luce del rating assegnato al debito sovrano spagnolo  e italiano». La seconda parte della motivazione è però più interessante, quando si evidenzia come questa rifletta «la diminuzione dei margini nel settore della generazione di energia elettrica, verificatasi principalmente in Italia, nonché le modifiche al quadro regolatorio e fiscale del settore elettrico annunciate in Spagna».

Un trend di respiro comunque più ampio, che travalica i confini dei due stati mediterranei; come sottolinea Elena Comelli sul Corriere della Sera, «Ubs ha declassato la tedesca Rwe e la francese Edf con la stessa motivazione», ossia la ribalta delle rinnovabili e della loro offerta di energia elettrica, che comprime i margini di profitto del settore, prima dominato dai soli player delle energie fossili.

«Non importa agli analisti se queste stesse aziende possiedono anche una bella fetta della potenza elettrica rinnovabile in Europa: il problema deriva dalle centrali a gas o a carbone, che hanno altissimi costi operativi - continua il Corriere -  ma spesso girano a vuoto, soprattutto negli orari di punta per l'industria, quando un tempo guadagnavano di più, mentre oggi sono battute sul campo dalla produzione solare, che proprio in quegli orari gira al massimo. Nei Paesi dove la crescita delle rinnovabili è stata più marcata, come in Germania e in Italia, il prezzo dell'energia venduta in Borsa negli orari di punta si è ridotto quasi della metà rispetto ai picchi di cinque anni fa. Sono i costi operativi - degli impianti tradizionali - che bruciano combustibili agganciati alle quotazioni del petrolio a mettere al tappeto i ricavi delle grandi utilities elettriche».

A questo punto i fautori della rivoluzione energetica dovrebbero lanciare grida di giubilo, ma qualcosa non torna: «Gli investitori non premiano nemmeno i produttori di energia da fonti rinnovabili, che in Borsa vanno mediamente peggio del mercato». La spiegazione del fenomeno suggerita dal Corriere - ossia i «tagli generalizzati agli incentivi statali» - convince, ma solo in parte. La grid parity si avvicina, soprattutto per i Paesi più baciati tra i favori del Sole (Italia e Spagna, ovviamente, rientrano nella categoria) sulla bilancia pesano anche altri input, come l'incertezza a medio-lungo termine degli incentivi stessi - in Italia in questo siamo maestri - e la riduzione dei consumi di energia causati dal perdurare della crisi economica.

Fatto sta che, «paradossalmente le grandi utilities vengono punite sia quando producono energia da fonti fossili, sia quando investono nelle fonti rinnovabili. Ma lo scivolone finanziario non impedisce alle fonti verdi di crescere molto sul piano degli investimenti industriali, poiché risulta chiaro a tutti il valore di questa scommessa sul lungo termine». Per la fede cieca nella bontà dei giudizi rilasciati in seno al gotha dei mercati - composto anzitutto delle agenzie di rating - questo è uno schiaffo che brucia anche più dell'inchiesta sui portata avanti per dalla procura di Trani, con rinvio a giudizio di 7 manager dei rating per «manipolazione di mercato pluriaggravata».

L'economia reale, continuando ad investire nelle rinnovabili, sconfessa dunque parte dei giudizi della propria controparte che muove le borse, e che dovrebbe piuttosto rappresentare una fidata guida. In un mondo sempre più complesso, affidarsi ciecamente a qualche oracolo paga sempre di meno. Intanto, sentenzia anche il Corriere, «la rivoluzione del sistema elettrico europeo è destinata a continuare».

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