[07/11/2012] News toscana

Come la crisi economica ha cambiato il nostro modo di consumare (e di comunicarlo)

L'associazione culturale senza fini di lucro Adee - ad european events (fondata a Firenze nel 1991) è da sempre impegnata nella progettazione e organizzazione di eventi internazionali per diffondere la consapevolezza del ruolo rivestito dalla comunicazione sociale, pubblica e privata. Da questo percorso nasce l'esperienza Society&Social, rassegna itinerante progettata per far conoscere al pubblico quanto viene realizzato dai creativi di tutto il mondo al servizio di una comunicazione sociale più efficace. Dall'8 al 22 novembre spetterà alla città di Siena - grazie all'università degli Studi di Siena e al suo dipartimento di Scienze sociali, politiche e cognitive - ospitare questa rassegna internazionale di pubblicità sociale sui temi della salute, dei diritti e dell'ambiente.

Un appuntamento che si aprirà con una tavola rotonda dal titolo Comunicazione sociale e cambiamento. Il senso del non-profit nella società della decrescita, dove interverrà tra gli altri Giulia Ceriani (Nella foto) - docente di Comunicazione e consumi all'università di Siena - alla quale greenreport.it si è rivolto per un punto di vista più approfondito sull'argomento.

Quello delle campagne sociali è un tema ormai diffuso da tempo: quale sarà il focus che vi verrà dedicato nel vostro incontro?

«La prospettiva della quale vorrei si parlasse è quella che inquadra le campagne no profit non come comparto stagno, ghettizzato. Rappresenta una necessità della società del nostro tempo capire la ricchezza in termini valori etici che la comunicazione sociale si porta appresso, valori che si distaccano da una visione "mercantile" ma che possono comunque confluire in modo positivo all'interno di imprese di per sé profit-oriented. Le persone non ascoltano separatamente il mondo profit da quello no profit, e continuare a separarli in modo netto credo sarebbe controproducente, sia sul piano etico che su quello economico».

Aprendosi dunque ad una prospettiva meno settoriale, come giudica abbia influito la crisi economica che ci portiamo dietro da ormai cinque anni sulla comunicazione nell'ambito del consumo?

«In questi anni ci sono stati molti mutamenti, sia nelle forme che nei contenuti. Innanzitutto, occorre rilevare come cinque/sei anni fa il mondo del sociale fosse trattato in modo molto più marginale rispetto ad oggi, quando invece si è sviluppata una maggiore attenzione verso aspetti sia di saving economico che ambientale, nonché indirizzati alla persona stessa. Lo star bene di adesso non è più il benessere di allora, e anche la comunicazione è attenta al cambiamento. Certo, la sostenibilità dei consumi spesso può rivelarsi soltanto green washing, ma che comunque se ne parli - e prima no - è già un passo avanti. Per quanto riguarda le forme, poi, in questi cinque anni c'è stato un cambiamento assoluto nelle forme di comunicazione che - a partire dall'espansione dei social network - sono diventate molto più articolate».

Non sembra comunque che l'acquistismo come forma di consumo sia già tramontata, anzi....

«Certamente il consumismo non ci ha abbandonato, anche se con la crisi sono cambiate le sue forme d'espressione. Gli investimenti di spesa a livello alto e altissimo continuano a non soffrire ma anzi ad andar bene, al contrario del consumismo di fascia intermedia, che si è spostato su fronti più bassi - parlando di investimenti di spesa sul singolo prodotto. La frequenza dell'acquisto, però, non è diminuita».

Un recente studio della società di consulenza Reinventami i prodotti green aumentano il loro appeal verso i consumatori, sebbene essi stessi facciano fatica a definire e comprendere cosa sia un prodotto altrimenti vagamente descritto come green. Cosa ne pensa di questo fenomeno?

«Credo questa sia in particolare una peculiarità del mercato italiano. Si è instaurata una tendenza, una sensibilità sociale per cui per essere "giusti" bisogna essere sostenibili, per comprare senza fare errori occorre comprare prodotti definiti sostenibili. C'è una pressione sociale in questo senso, e la sostenibilità è ormai una tendenza mainstream: sempre più allargata, e dunque sempre meno esigente e tecnica».

La stessa comunicazione e pubblicità che hanno contribuito pesantemente alla sua ascesa potranno dunque concorrere alla sua caduta?

«La pubblicità segue ma anche influenza il cambiamento. La pubblicità esercita ancora un ruolo importante che prescinde da una vocazione mercantile che ha sempre di meno: siamo tutti più consapevoli che per arrivare ad un acquisto, laddove ci si arrivi, intervengono fattori molto più elaborati. La pubblicità comunque gli atteggiamenti continua a rappresentarli e influenzarli, su binari paralleli. Dunque, per sensibilizzare la pubblicità serve ancora, eccome».

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