[05/11/2012] News

La rivoluzione energetica all'incontrario del Kosovo: coi privati pił costi e pił inquinamento

La pessima idea di aprire una nuova centrale a carbone sta dando i suoi frutti avvelenati

Varie realtà della società civile kosovara sono da alcune settimane impegnate a denunciare con forza il crescente inquinamento ambientale nel loro Paese. Sul banco degli imputati, oltre all'esecutivo locale, è finita la Banca mondiale. Ovvero un'istituzione che in teoria dovrebbe aiutare Stati come il Kosovo a procedere verso una transizione economica positiva, sconfiggendo la povertà che lo attanaglia. Il nodo della questione è rappresentato dalla politica energetica adottata nell'ottobre del 2008, allorché il governo decise di ristrutturare l'intero settore, cedendo agli investitori privati aree chiave della generazione e della distribuzione dell'elettricità.

In poco tempo fu privatizzata l'intera rete nazionale, si aprì una nuova miniera di carbone e iniziarono i lavori di costruzione di una centrale da 600 megawatt, destinata a bruciare enormi quantità proprio di carbone, ovvero il più inquinante tra i combustibili fossili. Il tutto con il sostegno politico e finanziario della Banca mondiale e con il nulla osta degli Usa, il principale alleato del Kosovo.

Nel dettaglio, i banchieri di Washington hanno fornito garanzie e prestiti sia per la miniera che per la centrale, nonché hanno consigliato le autorità kosovare su come procedere con la privatizzazione della rete.

I rappresentanti della società civile kosovara e di varie organizzazioni internazionali si sono messi a spulciare in maniera certosina tutta la documentazione sul piano energetico nazionale, arrivando alla conclusione che è a dir poco fallimentare. Ecco qualche dato a sostegno della loro tesi: sebbene negli ultimi dieci anni il governo abbia investito circa 180 milioni di euro per lo sviluppo della rete di distribuzione dell'energia, l'ha poi ceduta per soli 26,3 milioni. Come diretta conseguenza di questa "svendita", si è registrato l'aumento delle tariffe dell'8,9 per cento che, sommato all'incremento di oltre l'un per cento già stabilito dal Parlamento lo scorso anno per far fronte ai costi dei progetti per l'estrazione e la lavorazione del carbone e a un ulteriore 4,5 per cento che sarebbe ulteriormente necessario - e che quindi prima o poi si materializzerà - secondo gli esperti della Banca mondiale, danno una percentuale molto, troppo alta. Specialmente se si considera che al momento quasi la metà della popolazione kosovara vive in condizioni di estrema indigenza e che il tasso di disoccupazione supera abbondantemente il 40 per cento.

Vanno poi aggiunti a questo cospicuo cahier du doleances gli impatti ambientali, che saranno massicci. Per farsi un'idea, basta pensare che la stessa World Bank ha quantificato in 220 milioni di euro la spesa annua per mitigare gli effetti dell'estrazione del carbone. Una cifra che appare destinata a crescere in maniera esponenziale una volta che entrerà a pieno regime anche la centrale. "In questo caso non saranno solo le nostre tasche a rimetterci, ma anche la nostra salute" ha dichiarato Nezir Sinani (Nella foto), ricercatore dell'organizzazione kosovara Institute for Development Policy. Sinani ha ricordato che anche Daniel Kammen, grande esperto di rinnovabili e a lungo alle dipendenze della Banca mondiale, ha ammonito i vertici dell'istituzione a riconsiderare la politica energetica sostenuta in Kosovo.         

Ma per ora non ci sono segnali di un'inversione di tendenza da parte della World Bank, nonostante uno dei suoi organi ispettivi indipendenti abbia già accettato di esaminare il ricorso presentato dai sindacati del comparto energetico kosovaro sulle modalità di privatizzazione della rete elettrica nazionale.

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