[31/10/2012] News

Istruzione qualificata e politiche industriali sostenibili contro il record di disoccupati

Alla fine sembra davvero che non vedrà mai la luce l'aumento delle ore di lavoro per gli insegnanti (a tutto discapito dei docenti precari, per dire), contenuto nel Ddl Stabilità. A meno che non si trovi il modo di farlo sbucare di nuovo. Le agitazioni nel mondo della scuola comunque non si placano: l'intero comparto della conoscenza è sempre il primo a soffrire quando si tratta di tagli alla spesa pubblica. Eppure, sarebbe proprio uno dei primi dove far leva per costruire un nuovo e più sostenibile (e più consapevole) modello di sviluppo. Il costo dell'inazione ormai dovrebbe essere chiaro: l'Istat ci informa oggi di un record assoluto, quello del numero di disoccupati. Con un bacino pari - a settembre -  di 2 milioni e 774 mila, si tratta del livello più alto dall'inizio delle serie storiche mensili (gennaio 2004) e dall'avvio di quelle trimestrali, ovvero dal quarto trimestre del 1992.

Anche senza sollevarci dal tappeto del piano puramente economico è chiaro che non si sta facendo abbastanza. In questo contesto, coloro che ci rimettono di più sono le nuove generazioni alle prese con un ingresso nel mondo del lavoro che ormai è quasi un miraggio per molti, troppi ragazzi. La crisi economica complica enormemente le cose, ma anche il modello formativo che viene loro offerto non rappresenta certo un salvacondotto. Anzi.

Alberto Quadrio Curzio ci ricorda oggi, dalle pagine del Sole24Ore, che «la disoccupazione giovanile (per persone tra i 15 e i 24 anni) e il suo aumento nella crisi sono ormai un'emergenza per i danni durevoli sulla vita dei giovani e sul potenziale produttivo. Il tasso di disoccupazione giovanile è nella Ue al 25% (oltre 5 milioni di persone), in Spagna è oltre il 50%, in Italia è al 35% (con il Mezzogiorno quasi al 47%), in Germania è al 10%». Oltre a questi numeri, preoccupa in modo particolare l'escalation del fenomeno Neet (Not in Education, Employment or Training), ragazzi «scoraggiati che si avviano all'emarginazione economica e sociale» la cui percentuale «sul totale delle persone tra 15 e 24 anni è quasi al 20% in Italia ma anche in Germania è al 10%. La perdita di Pil, imputata ai Neet, è stimata in media europea all'1,2% e per l'Italia al 2%. Rispettivamente si tratta di oltre 150 e 30 miliardi persi».

Cifre enormi sono dunque in ballo, ma soprattutto il presente di ragazzi che sono il futuro della società italiana ed europea. Come reagire? «Molte sono le politiche per favorire l'ingresso dei giovani nel lavoro e per aumentare la probabilità ch'essi vi rimangano - sottolinea ancora Quadrio Curzio - La più nota sono gli investimenti nell'istruzione e nella formazione». L'economista cita l'esempio della Germania, dove è presente da tempo un modello duale «che combina istruzione scolastica con apprendistato in una coniugazione virtuosa». Anche in Italia sono in atto timide inversioni di rotta sul tema, come nel caso del progetto «Fixo-scuola-università che punta a realizzare presto 30 mila stage formativi e di orientamento nonché 5 mila contratti di apprendistato di alta formazione e ricerca». Nel buio della crisi è però giunto il momento di fare di più, e lanciare il cuore oltre l'ostacolo: l'ambizione deve essere quella di un progetto ad ampio raggio, volto non solo ad evitare il fenomeno del job mismatch, cioè l'incongruenza tra il titolo di studio acquisito da un giovane e l'occupazione trovata.

Aumentare la quantità di occupati ed insieme la qualità dell'occupazione significa cavalcare le possibilità offerte dalla riconversione della nostra ormai consunta macchina economica tendendo all'orizzonte della sostenibilità, ripensando l'intero sistema produttivo. Questo implica la necessità di preparare adeguatamente la forza lavoro (potenziale, soprattutto, e quindi i giovani) ad un mercato del lavoro in evoluzione e dalle mille sfumature. Il necessario e auspicato rilancio di una manifattura green presuppone competenze tecniche da riscoprire ed aggiornare, ma economia sostenibile significa anche valorizzazione di comparti più tradizionalmente classificati come "culturali": in Europa, come ricorda la stessa Commissione Ue, questi settori già «incidono sul Pil  per una quota compresa fra il 3,3% e il 4,5% e occupano tra 7 e 8,5 milioni di persone».

In totale, igreen jobs rappresentano un bacino che oscilla tra 15 e i 60 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo: il comparto italiano dell'istruzione è pronto a guadagnarsi questa possibilità?

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