[25/10/2012] News

Cala il prezzo del petrolio? Non diventi un alibi per non agire

Aprendo il portafoglio per pagare un pieno di benzina non si direbbe, ma il prezzo del petrolio sta franando. Anche ieri ha chiuso in calo a New York, dove le quotazioni hanno perso 92 cent, fermandosi a 85,75 dollari al barile. Quasi la metà del record a 147$ e passa registrato nel 2008. Il livello rimane comunque elevato, ma la crisi economica - in attesa di una ripresa - e il conseguente calo di domanda produce un tendenza ribassista, allontanando la deadline rappresentata dal picco del petrolio (sebbene per alcuni sia stata di fatto già superata).

In Italia questo processo è particolarmente visibile, concretizzandosi in un sensibile calo dei consumi: il dato più recente diffuso dall'Unione petrolifera, riferito ad agosto 2012, stima una perdita pari a 5,5 milioni di tonnellate, con una diminuzione del 7,5% (-444mila tonnellate) rispetto allo stesso mese del 2011. Ma è lo scenario globale del mondo petrolifero che si trova a mutare.

«Prepariamoci a dire addio al mercato del petrolio come lo conosciamo oggi - scrive infatti Sissi Bellomo sul Sole24Ore - I primi semi del cambiamento sono già stati gettati, ma nei prossimi 5 anni assisteremo a una vera rivoluzione. La domanda di greggio, scrive l'Agenzia internazionale per l'energia (Aie) nel suo rapporto di Medio termine, crescerà praticamente solo a Oriente, mentre l'offerta si svilupperà in buona parte a Occidente, in particolare negli Stati Uniti, dove la produzione di "shale oil" - il greggio estratto da rocce argillose - continuerà a crescere, con ripercussioni importanti e ancora non del tutto prevedibili anche sulle rotte del commercio di petrolio». In particolare, l'Aie ha rivisto al ribasso le stime di domanda di petrolio da qui al 2016, a causa del peggioramento dell'economia mondiale e prevede ora un aumento dell'1,2% annuo, contro il precedente 1,3%. Secondo il rapporto, la domanda mondiale di petrolio passerà da 89,79 milioni di barili al giorno quest'anno a 94,45 milioni nel 2016, circa mezzo milione in meno di quanto stimato nei calcoli precedenti.

Non necessariamente questa nuova tendenza potrebbe rivelarsi una buona sorpresa verso il traguardo di una maggiore sostenibilità. L'estrazione dello shale oil (come dello shale gas), ad esempio - vista come la nuova e mirabolante frontiera degli idrocarburi - si trascina dietro danni ambientali che surclassano i guadagni economici. E una nuova abbondanza di energia fossile, se così sarà, potrebbe rallentare la già ardimentosa ascesa delle fonte energetiche rinnovabili, col loro potenziale industriale, occupazionale e di benefici ecologici (per non parlare delle ripercussioni sulle materie seconde...) .

Questa boccata d'ossigeno concessa dal petrolio sui mercati non sia dunque ingannevole. Le problematiche nell'utilizzo delle fonti fossili rimangono comunque in piedi, e la crisi rimane ugualmente una grande opportunità per mettere in atto una graduale transizione verso un'economia più green, anche dal punto di vista energetico. Nella sola Europa, come ricorda un recente studio curato da Greenpeace, se le fonti energetiche rinnovabili e l'efficienza energetica sostituissero il  nucleare e le fonti fossili nella scala delle priorità, si potrebbero ottenere quasi 500mila nuovi posti di lavoro, un apporto benefico al quale vanno aggiunti quelli di natura sanitario e ambientale. La frenata del greggio sui mercati non può dunque trasformarsi in un alibi alla non azione: avere più tempo per traghettare l'attuale modello economico ad uno a più bassa intensità di carbonio è solo un'ulteriore e forse inaspettata chance, che non dobbiamo e possiamo lasciarci sfuggire.

Torna all'archivio