[25/10/2012] News

Pratiche edilizie e silenzio-assenso: approfondiamo la questione per non far scadere la discussione

Il professor Settis, su La Repubblica di domenica scorsa, ha rilanciato l'allarme in relazione all'introduzione del silenzio - assenso nelle pratiche edilizie anche in relazione alle procedure paesaggistiche.

Giuste preoccupazioni, ma la vis polemica, può essere fuorviante, perché nella procedura dell'autorizzazione paesaggistica non c'è silenzio -assenso, la commissione comunale per il paesaggio si esprime sempre (capace o incapace che sia) e la Soprintendenza già prima aveva  60 giorni per esprimersi, dopo di che, in assenza di parere, rimaneva valido il parere della commissione comunale per il paesaggio. Si capisce però che Settis vuole richiamare l'attenzione di cittadini e istituzioni circa la necessità assoluta di tutela del paesaggio, ovvero del territorio, vuole esprimere  preoccupazione circa malaffari attorno all'edilizia ed all'urbanistica, anche se corre il rischio di fare di ogni erba un fascio. Certamente malcostume, insufficienza culturale e talvolta malaffare hanno attanagliato la politica ed il governo del territorio, ma se questa denuncia è slegata da una riflessione e proposta su strumenti e politiche di governo si rischia di fare semplice testimonianza, per quanto importante.

Allora sarà bene ricordare:

  1. Che le Soprintendenze spesso invocate come un argine al degrado paesaggistico hanno spesso avvallato, per lunghi anni, tutto quanto troviamo posato sul territorio sottoposto a vincolo paesaggistico e peggio ancora, forse, hanno impedito l'affermazione di una vera architettura moderna avallando invece stanche mimesi edilizie di precedenti architetture o architetture da manuale del geometra degli anni 50 - 60.
  2. Che i  piani regolatori generali dei comuni sono stati avallati da province e regione.
  3. Che con la il decreto legislativo 42 del 2004 la responsabilità di formare i piani paesaggistici è della regione e del ministero dei beni culturali e purtroppo questi piani non ci sono;
  4. Che quel poco di piano paesaggistico adottato nella regione Toscana, anni fa, ad integrazione del PIT, prevedeva molte chiacchiere ma poche assunzioni di responsabilità, cioè specifici provvedimenti di inedificabilità di aree e contesti di pregio e contestualmente specifiche individuazioni di aree da ristrutturare e riqualificare.
  5. Che se i comuni hanno responsabilità è vero che di riforma in riforma, contro la corruzione o per il controllo della spesa pubblica, questi sono esausti e sovraccarichi di oneri di  controllo della propria stessa attività, distratti dalla attività di pianificazione;
  6. Che, almeno in Toscana, una interpretazione parziale della riforma costituzionale ha fatto si che si applicasse il principio di sussidiarietà dimenticando quelli di adeguatezza e differenziazione dell'azione governativa degli enti (cioè si è finito per far si che tutti si occupassero di tutto e forse poco di tutto);
  7. Che il governo in carica, onusto di professori e competenze, abolisce almeno 50 province, ma non si fa carico di stabilire chi fa cosa, a chi passano le competenze, mentre si mantengono oltre 8000 comuni perché non si ha il coraggio di affermare che almeno la metà non hanno ragione di esistere, di dire che forse per reggere la sfida della gestione  e dei relativi costi i comuni debbono avere una popolazione di circa 30.000 abitanti.

Ovvero, sarà bene puntualizzare che se è giusto esprimere preoccupazione, se non si vuole solo fare testimonianza, è  indispensabile ricercare anche riscontri sociali e politici per trasformarla in positivo, in politiche attive, quindi, chiedere ai partiti, nell'imminenza della scadenza elettorale del 2013 che interessa il parlamento , ma anche comuni e province e qualche regione, che cosa vogliono fare e proporre le forze politiche in campo, i loro candidati, non bastando ovviamente banali enunciazioni di principio, essendo ormai necessario, per esempio, stabilire per legge che le aree agricole non possono essere trasformate se non per realizzare infrastrutture pubbliche, che non si costruisce nel demanio marittimo al di fuori delle aree urbane e per determinate fattispecie, che è fatto obbligo di redigere piani di recupero degli insediamenti esistenti, che si stabilisce una nuova legge in materia di regime dei suoli e degli espropri che senza comprimere il mercato non scarichi sul pubblico gli interessi speculativi, e così oltre.

La risposta non spetta a Settis è evidente, speriamo che la comunichino le forze politiche.

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