[10/10/2012] News

L’importanza della subduzione oceanica della CO2

Il 40% della CO2 antropica assorbita dall’Oceano australe. 1.000 pozzi oceanici a rischio cambiamenti climatici

Nature Geoscience pubblica l'interessante studio "Localized subduction of anthropogenic carbon dioxide in the Southern Hemisphere oceans" nel quale un team di ricercatori britannici ed australiani ricorda che «gli oceani rallentano il ritmo dei cambiamenti climatici assorbendo ogni anno circa il 25% delle emissioni antropiche di anidride carbonica». 

L'Oceano australe da un forte contributo a questi "pozzi" marini di  carbonio o serbatoio: più del 40% della CO2 di origine antropica negli oceani viene assorbita a sud dei 40° S.  I ricercatori spiegano che «Il fattore limitante nel sequestro oceanico dell'anidride carbonica di origine antropica è il trasferimento di carbonio attraverso la base dello strato superficiale misto all'interno oceano, un processo noto come subduzione. Tuttavia, i meccanismi fisici responsabili della subduzione dell'anidride carbonica di origine antropica sono poco conosciuti». 

Per determinare i meccanismi responsabili di sequestro di CO2, il team britannico-australiano ha utilizzato stime basate sulle osservazioni della subduzione e sulle concentrazioni di carbonio di origine antropica nell'Oceano Antartico e scrive su Nature Geoscience: «Stima che La subduzione netta ammonti a 0,42 ± 0.2 Pg C anno-1 tra il 35 ° S e il margine della zona del ghiaccio marino. Abbiamo dimostrato che subduzione si verifica in luoghi specifici come risultato della interazione di "wind-driven Ekman transport", dei flussi e delle variazioni indotte nello strato misto di profondità. La distribuzione zonale della subduzione stimata è coerente con la distribuzione dell'anidride carbonica antropogenica nell'interno oceano». In conclusione. «Il sequestro del carbonio oceanico dipende dalle proprietà fisiche, come lo strato misto di profondità, le correnti oceaniche, il vento ed i vortici, che sono potenzialmente sensibili alla variabilità ed al cambiamento climatici».

Il nuovo documento del National Environment Research Council  sottolinea l'importanza di 1000 pozzi oceanici che risucchiano in vortici larghi chilometri  la CO2 di origine antropica e la stoccano nelle profondità marine. La solubilità della CO2 risucchiata è determinata  da due processi:  la temperatura dell'acqua di mare, la solubilità è maggiore nelle acque fredde; la circolazione termoalina  che è determinata dalla formazione di strati di acqua profonda alle latitudini elevate, dove l'acqua di mare è solitamente più fredda e più densa. Dato che l'acqua profonda (si forma nelle stesse condizioni di superficie che favoriscono la solubilità dell'anidride carbonica solubilità, contiene una maggiore concentrazione di carbonio inorganico disciolto di quanto ci si potrebbe aspettare. Quindi, questi due processi agiscono insieme per pompare il carbonio dall'atmosfera nelle profondità dell'oceano.

Una conseguenza di questo è che quando le acque profonde risalgono con il fenomeno chiamato upwellig  alle più calde latitudini equatoriali sono cariche di CO2 in una situazione di ridotta solubilità .

L'analisi della situazione dell'Oceano australe si basa su un decennio di dati provenienti da migliaia di galleggianti robotici e di centinaia di navi dispiegate negli oceani dell'emisfero meridionale ed hanno dimostrato che la cattura del carbonio avviane in regioni dell'Oceano ben definite. Cinque di queste aree sono state individuate  nell'Oceano Antartico, una delle quali al largo della punta meridionale del Cile e un'altra a sud-ovest della Nuova Zelanda.

I ricercatori hanno scoperto che alcune combinazioni di venti e correnti  ("eddy processes") pompano la CO2 nelle profondità dell'Oceano, dove la gran parte rimane stoccata per migliaia di anni.  I vortici oceanici "mesoscale"  hanno un ruolo importantissimo in questo processo.

Secondo il team australiano-britannico, «l'importanza degli "ocean eddy processes" nel ciclo globale del carbonio, dimostrato da questi nuovi risultati, solleva la questione di come  modelli climatici a risoluzione grossolana rappresentino su scala relativamente fine gli "eddy processes".  Questo lavoro contiene alcune sfide molto importanti per gli sviluppatori dei modelli climatici del Sistema Terra, ma mostra anche la via da seguire nel valutare e migliorare le model performance». 

 

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