[08/10/2012] News

La crisi delle aree protette: come uscirne?

Nell'incontro di fine settembre in San Rossore promosso dal Gruppo di San Rossore dominante è
stata la preoccupazione per  lo stato di crisi dei nostri parchi e  aree protette che sembra
velocemente e speditamente avviata ormai verso   una rovinosa deriva.

Già quando ci
costituimmo in gruppo, fu questa la ragione   principale a stimolarci tanto da indurci a definirci  non a
caso ‘Gruppo per il rilancio dei parchi'. In effetti le cose si presentavano già allora allarmanti per i
pesanti tagli, i commissariamenti, l'assoluto vuoto direzionale del ministero e sempre più anche delle
regioni. Ma questa gravissima condizione evidenziava al tempo stesso  i segni anche di una crisi che
oltre a investire e riguardare le aree protette confermava la crisi più generale del governo del
territorio delineato dal nuovo titolo V della Costituzione. La crisi, insomma, investiva e riguardava
con le aree protette la gestione del suolo e la tutela  del paesaggio. Riguardava in sostanza una
gestione che aveva messo da parte  qualsiasi ambizione pianificatoria, volta a mettere in sintonia e
in rete  aspetti fondamentali di una politica ambientale che tornava invece accentuatamente a
separare quello che doveva invece essere integrato a partire, ad esempio, per le aree protette dal
paesaggio, inopinatamente sottratto invece ai piani previsti dalla legge 394 o come  dalla mai
perseguita integrazione tra aree marine e terrestri pur voluta  dalla legge 394 ma rimasta
praticamente   inattuata e ignorata.

Sorprendente -come non mancammo di denunciare fin
dalle prime battute- è che proprio nel ventennale della legge quadro anziché affrontare seriamente e
alla luce del sole le ragioni che hanno impedito al ministero di svolgere il suo ruolo di ‘governo' come
previsto dalla legge quadro e dal decreto Bassanini, si preferì evitare la Terza Conferenza nazionale
sui parchi e scaricare sulla legge le responsabilità tutte politiche di una gestione fallimentare
diventata ormai paralizzante. In conclusione i parchi segnalavano più e meglio di altri comparti
ambientali una crisi politico-istituzionale nel governo del paese. Come ci sono segnalatori biologici
che consentono di monitorare al meglio situazioni ambientali di crisi,  i parchi hanno assunto questo
ruolo a livello istituzionale e per una ragione che non è stata ancora colta in tutta la sua portata e
significato e cioè che quello dei parchi e delle aree protette è l'unico comparto ambientale gestito
direttamente dalle istituzioni -tutte- in collaborazione. E' abbastanza naturale perciò che la crisi
istituzionale del paese, sempre più manifesta, abbia prodotto e produca proprio qui maggiori danni.
La crescente conflittualità tra istituzioni che ha portato nell'ultimo anno ad un impressionante
aumento di ricorsi alla Corte costituzionale con sentenze che hanno spesso premiato un ritorno
centralistico tanto più sorprendente dinanzi alle evidenti e crescenti incapacità ministeriali di
impostare e gestire politiche serie. Questo è particolarmente verificabile proprio nel caso del
ministero dell'ambiente che nei confronti dei parchi non solo ha puntato tutto sui tagli, ma ha pure  la
pretesa di decidere da Roma anche le cose più banali che un parco nazionale deve fare. Così  dopo
la filza dei commissariamenti ora è riuscito a impedire -cioè paralizzare- anche il funzionamento
ordinario dei consigli come sta accadendo al Parco dell'Arcipelago Toscano dove da poco si è
insediato alla Presidenza Sammuri che però è senza  consiglio.

La Commissione ambiente
del Senato per questo ha recentemente approvato un documento in cui si chiede al Ministero di
‘incrementare in misura adeguata gli stanziamenti per le aree protette'

Comunque  vada a
finire resta dopo quel che è successo anche in estate con gli incendi, e continua succedere con le
trivellazioni a mare e con molte leggi regionali che hanno creato e stanno creando serie difficoltà per
il futuro di parchi regionali anche storici come il Ticino Lombardo e le Alpi Marittime e tanti altri-
inclusi molti siti comunitari- oggi urge,  dopo le manfrine del Senato su un testo di legge partito male
e che per fortuna non approderà da nessuna parte, un approfondita riflessione nazionale innanzitutto
da parte delle istituzioni ed anche delle forze politiche che in questa fase hanno recato più discredito
che aiuto e sostegno alle nostre aree protette.

Una riflessione che incroci quanto sta
accadendo dopo le tante chiacchere demagogiche sul federalismo  e che ha visto prima sparire le
comunità montane e che vede ora in sostanziale liquidazione le provincie mentre le stesse regioni,
specialmente dopo gli ultimi scandali del Lazio, sono entrate anch'esse in un percorso critico al punto
che c'è chi chiede già operazioni di accorpamento e che come ha preannunciato il ministro della
Pubblica Amministrazione Patroni Griffi saranno intanto sottoposte a pesanti interventi chirurgici per
sottrargli le competenze concorrenti in materia di energia, infrastrutture, comunicazioni e turismo.

Ci vuol poco a capire  che dinanzi ad uno scombussolamento istituzionale del genere va
innanzitutto riaffermata l'esigenza che i parchi e le aree protette restino un soggetto istituzionale
affidato alla titolarità delle istituzioni con un ruolo non di settore nè tanto meno marginale e
complementare ad altri, quanto titolare di competenze nella gestione di beni comuni che attengono
alla conservazione della natura, alla tutela del paesaggio e della salute dei cittadini.

Vanno
pertanto respinte tutte quelle sortite volte ora a ipotizzare gestioni affidate al CFS o a organismi
striminziti privi di ‘rappresentanza istituzionale' o di categorie cosiddette portatrici di interessi che nel
caso dei parchi e delle aree protette - anche questo va ribadito con forza - sono e restano
unicamente i cittadini e il loro diritto costituzionale a vivere e  usufruire ambienti sani e belli.


A questo servono i parchi e  le aree protette e non soltanto in Italia. Ed è grave che le istituzioni
e la politica mostrino ancora così poca attenzione e impegno, verso il destino di questi beni comuni
mentre rispuntano ad ogni piè sospinto  tentazioni condoniste e -peggio- di dismissione di un
patrimonio unico e inalienabile.

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