[28/09/2012] News

Ricostruzione dell'Aquila come l'Italia: prototipo di un Paese che al declino si sottrae o che vi si adagia?

«C'è qualcosa che sta succedendo qui»: in queste parole del ministro Fabrizio Barca sta il senso di un processo di ricostruzione, ancor prima che della città fisica, di un'identità e di un senso di direzione per il presente e per il futuro di L'Aquila. L'occasione per riflettere è venuta dalla presentazione, avvenuta nel capoluogo abruzzese lo scorso 27 settembre, di uno studio promosso dallo stesso ministro ed affidato ad un team coordinato da Antonio Calafati, uno degli studiosi italiani dello sviluppo locale di maggior prestigio internazionale, ma soprattutto di più spiccata e spesso provocatoria originalità di pensiero. Il risultato non è un vero e proprio piano strategico, nonostante la promessa del titolo: «L'Aquila 2030. Una strategia di sviluppo economico». Il sottotitolo recita invece: «uno strumento per pensare, un ausilio ai processi decisionali»; e questo, più che un tentativo di understatement, coglie il senso ultimo del lavoro, che è quello di aiutare (e insieme pungolare) l'intelligenza locale a pensare strategicamente.

Il rapporto (scaricabile da: http://www.coesioneterritoriale.gov.it/progetti/ricostruzionelaquila/) merita una lettura attenta sia sul piano del metodo che su quello dei contenuti, che spesso sono "scomodi". Il terremoto - vi si dice - ha colpito un territorio che era in una fase di stallo economico e progettuale, ha catalizzato e accelerato problemi che erano già presenti e non affrontati: i problemi di una città in declino economico.

Tre i punti qualificanti del ragionamento che il rapporto sviluppa.

Il primo è il richiamo all'approccio place-based, che ha visto proprio Barca tra i suoi più efficaci traduttori in indirizzo di policy in Italia e in Europa. Le strategie locali, frutto d'intelligenza e di consenso, non sono esercizi vuoti, ma fanno la differenza. L'età della crisi ci sta mostrando, all'interno di contesti omogenei, polarizzazioni "inspiegabili" ed esiti radicalmente diversi.

Il secondo riguarda i rischi e le opportunità che sono legati al massiccio afflusso di fondi per la ricostruzione ed alle attività economiche che essi generano. Il rischio è che essi facciano sentire meno l'urgenza di incidere su una struttura economica in disgregazione, che non garantisce più crescita (severa è a questo proposito la sottolineatura sui limiti dell'impatto di uno sviluppo turistico, che a molti sembra l'unico destino futuro possibile per l'area.) L'opportunità è che L'Aquila, con quell'afflusso di fondi, acquisisca un asset che altrove è scarso o inesistente: il tempo. Tempo per decidere, scegliere e mettere in moto quei fattori di sviluppo che, quando la ricostruzione sarà terminata, potranno sostenere i percorsi futuri.

Il terzo punto riguarda la proposta di puntare su un'università residenziale, secondo il modello delle città universitarie tedesche (Tubinga, Gottinga, Freiburg...): un'università che sia insieme fatto economico (come ora non è) e "capitale territoriale latente" da mettere in gioco nell'economia della conoscenza.

Il ministro Barca ha insistito sull'idea di fare di L'Aquila un prototipo per le politiche urbane. A chi ha assistito alla presentazione è però venuto in mente che L'Aquila è oggi molto più di un "laboratorio di sviluppo" in condizioni drammaticamente estreme, ma è il paradigma di un Paese intero, che nel terremoto della crisi non sembra trovare le energie politiche e intellettuali per affrontare il vero tema di questo inizio di millennio italiano: il nostro declino. E L'Aquila potrebbe essere il prototipo di un Paese che al declino si sottrae. Oppure di un'Italia che vi si adagia.

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