[18/09/2012] News

ReMade in Italy? Sė! A patto che...

Le conclusioni dell'intervento di Aldo Bonomi sul Sole24Ore di ieri sono musica per le orecchie di chi, come greenreport.it, non vede nella green economy un possibile driver per la crescita, ma l'unica strada percorribile per uscire dalle crisi (economiche-sociali-ambientali) e far sì che l'Italia possa ritagliarsi un ruolo importante all'interno di questa che è anche una sfida.

Una sfida che è innanzitutto "manifatturiera", perché senza industria non c'è sostenibilità e per questo ha ragione Bonanni a dire che «C'è bisogno di un nuovo propulsore culturale e di fare atterrare i flussi finanziari per innescare un "ReMade in Italy" che allontani lo spettro della disoccupazione strutturale».

«Scommettere sul capitalismo che verrà, che incorpori il concetto del limite con merci e sistemi produttivi ambientalmente compatibili - continua Bonomi - è il punto su cui ragionare. Una green economy che sia però anche green society». Dal nostro punto di vista concetti come capitalismo e mercato non sono sovrapponibili, ma ci soffermiamo volentieri su uno slogan che è anche un progetto: "ReMade in Italy".

Ma per riempirlo, visto quello che evoca il solo concetto di remade, bisognerebbe che quando si parla di operare «in più direzioni. Culturale, contaminando la visione imprenditoriale tradizionale con saperi manageriali e tecnologici radicati nella specificità nazionale e all'altezza dell'era digitale perché l'imprenditorialità diffusa continua ad essere la nostra Tennessee Valley. Di sistema per costruire reti e nodi di trasmissione delle merci e dei saperi, dalla macro-logistica dei porti alla banda larga. Di governance strategica ripensando il rapporto tra poli metropolitani e contado produttivo», si parlasse esplicitamente del riciclo di materia, anziché alludere, come spesso accade, solo all'energia.

L'energia non può essere l'unico campo sul quale investire quando si parla di green economy e dunque al risparmio e alla rinnovabilità di essa, va affiancata anche il risparmio e la rinnovabilità della materia.

L'Italia in questo settore può fare moltissimo perché questa è la manifattura di cui c'è bisogno, quella che riduce il ricorso alla materia prima di cui il nostro Paese è notoriamente scarso e il cui valore in termini economici è assolutamente volatile a causa della speculazione finanziaria che ha reso il rapporto tra domanda e offerta un concetto aleatorio.

«La crisi - sostiene sempre Bonomi - accelera ufficialmente l'entrata del nostro capitalismo manifatturiero in una quarta stagione, un ‘non ancora' in cui al centro è la metamorfosi del sistema. L'evoluzione dei Brics come nuove potenze industriali e geopolitiche ben delineata da Prodi alza l'asticella competitiva per l'Europa e per noi. L'impresa che compete ha più bisogno di prima di funzioni e capitale territoriale ma su scala diversa da quelle distrettuali: banche, nodi e reti della supply-chain, università e ricerca, servizi pregiati e professioni».

Se questa è l'analisi del contesto, e per noi lo è, questa quarta stagione che noi abbiamo definiti mesi fa quella dei signori delle ri-commodity, non può non partire dal settore del riciclo - che è un processo industriale -, altrimenti che remade in italy è?

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