[18/09/2012] News

Sicurezza sanitaria, etica e ambiente in Oriente

I medici, in India, sono allarmati. Al Tata Memorial Centre, il grande ospedale di Mumbai dove vengono curati i malati di cancro, il 50% dei batteri rilevati nei campioni organici prelevati ai pazienti mostra una forte resistenza al carbapenem, l'antibiotico considerato "l'ultima spiaggia". Quello che si usa quando un'infezione risulta intrattabile per ogni altro antibiotico. 

Solo pochi anni fa, sostiene la rivista Nature in un recente reportage, a resistere all'antibiotico "ultima spiaggia" era il 30% dei batteri rilevati nei campioni organici dei pazienti dell'ospedale. Il significato di questi numeri è evidente: sta aumentando l'insieme dei microrganismi che non rispondono ad alcun trattamento.

Mettiamo insieme un altro dato e inizieremo ad avere qualche idea di quello che sta succedendo: nel 2005 in India venivano vendute 2,5 unità di carbapenem ogni 10 milioni di abitanti, contro le 4,0 unità degli Stati Uniti; cinque anni dopo, nel 2010, negli Usa la vendita era rimasta costante, ma in India le unità di carbapenem vendute erano salite a 12,5 unità ogni 10 milioni di abitanti.

È, dunque evidente che un numero crescente di indiani faccia ricorso agli antibiotici, compreso quello "ultima spiaggia". E i batteri, riprendendo quella gara nota agli ecologi come «corsa della Regina Rossa», stanno imparando a resistere sempre meglio alle armi messe in campo dall'uomo. Il rischio è che presto gli antibiotici potrebbero trasformarsi in un'arma spuntata e gli uomini potrebbero trovarsi a combattere di nuovo a mani nude contro i batteri patogeni.

Ma perché in India cresce velocemente l'uso degli antibiotici? Il motivo è molto semplice da spiegare: possono essere acquistati in farmacia senza prescrizione medica. E questa condizione di "medicina fai da te" favorisce l'utilizzo massiccio e senza controllo degli antibiotici, che si risolve in una sorta di addestramento intensivo dei batteri che "imparano" a resistere. O, detto in termini più rigorosi, favorisce il successo riproduttivo dei ceppi batterici che hanno sviluppato una resistenza agli antibiotici.

È chiaro che il problema non riguarda solo l'India. Perché i batteri non conoscono frontiere. Ma è anche vero che in India sta crescendo la consapevolezza della minaccia e le autorità di governo stanno pensando a una riforma della politica sanitaria per consentire la vendita di antibiotici solo su prescrizione medica.

In maniera affatto diversa, un medesimo incremento della sensibilità rispetto ai temi che possiamo definire di "salute e ambiente" si sta verificando anche in Cina. Ne è prova la recente campagna di stampa che si è verificata nel grande paese asiatico contro la sperimentazione in atto degli effetti sanitari dell'alimentazione a base del golden rice. Si tratta di una varietà di riso, l'Oryza sativa, modificato geneticamente su un'idea di Ingo Potrykus per migliorarne le proprietà nutritive.

In particolare il golden rice è ricco di betacarotene, un precursore di quella vitamina A di cui è povera la dieta di centinaia di milioni di persone nel mondo. Si calcola che ogni anno muoiano quasi 700.000 bambini a causa di questa carenza. Assumere riso ricco di vitamina A potrebbe essere una soluzione contrastare questo fenomeno.

Per questo due ricercatori della Tufts University di Boston, in collaborazione con un folto gruppo di colleghi cinesi, hanno iniziato quattro anni fa a verificare gli effetti reali del riso geneticamente modificato su un gruppo di bambini in Cina.

L'intento è dunque ottimo. Ma la stampa cinese sta sollevando un problema etico: è giusto effettuare una sperimentazione che coinvolge bambini sani?

Questa domanda ha una dimensione universale. Il problema va risolto a scala mondiale. Tuttavia dimostra che anche in Cina i temi della sicurezza sanitaria e ambientale stanno diventando oggetto di discussione pubblica. Che la ricerca del miglior equilibrio tra salute e ambiente sta diventando un'esigenza diffusa. E che in tutto il mondo, magari confusa ma certo sempre più forte, cresce la domanda di una piena "cittadinanza scientifica".

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