[13/09/2012] News toscana

In 7 anni -26% per il fatturato del piccolo commercio: č la Toscana dei “consumatori depressi”

L'aggiornamento trimestrale di Unioncamere Toscana sull'evoluzione del tessuto imprenditoriale della Regione, pubblicato oggi, traccia un quadro che somiglia molto ad un piano inclinato per i consumi delle famiglie toscane. «Il 2012 - si legge nel rapporto - si è aperto all'insegna di una nuova contrazione del potere d'acquisto delle famiglie, legata all'accelerazione dell'inflazione, alla crisi dei redditi e del mercato del lavoro, ed agli effetti della manovra di riequilibrio dei conti pubblici.  Di fronte ad uno scenario che si prospetta ancora molto difficile e incerto, le famiglie comprimono ulteriormente i consumi: nel trimestre aprile-giugno, le vendite al dettaglio calano del 6,0% in Toscana e del 7,5% a livello di media nazionale» (vedi grafico).

Nonostante i numeri impietosi, il presidente di Unioncamere Toscana, Vasco Galgani, ha tenuto a precisare che «i trend negativi si susseguono da mesi e non devono lasciare spazio allo scoraggiamento, ma è chiaro che in una situazione come quella che la regione sta vivendo attualmente è necessario l'impegno di tutti».

«E' inutile girare intorno al problema: sono fuor di dubbio la dimensione e la difficoltà  del  momento di crisi economica che stiamo attraversando». Anche le istituzioni locali, nella persona dell'assessore regionale al Commercio, Cristina Scaletti, sono consapevoli della gravità del momento: «Proprio per questo mi ostino ad affermare che di fronte al  preoccupante calo dei consumi registrato nella nostra regione è controproducente insistere nella direzione di una totale liberalizzazione delle aperture nei giorni festivi. Il problema vero è che mancano i soldi nei borsellini delle famiglie. In un contesto del genere dobbiamo unire le forze - ha proseguito Scaletti - per mettere in campo iniziative atte a sostenere il piccolo commercio».

Poiché il calo generalizzato dei consumi non ha colpito in modo altrettanto generalizzato i commercianti, è proprio nel piccolo commercio che si leccano le ferite più profonde: «Le scelte dei consumatori depressi dalla crisi - sottolinea il rapporto - determinano la caduta dei consumi e la discesa dei fatturati di vendita delle imprese commerciali, in particolare dei negozi di vicinato che, negli ultimi sette anni - dal II trimestre 2005 al II trimestre 2012 - hanno visto ridursi del 26% il proprio giro d'affari e dei negozi di media dimensione (-18%). Diversa la situazione per la grande distribuzione che, grazie agli andamenti molto positivi registrati fino al 2009 e alla maggior tenuta durante le fasi più critiche degli ultimi anni, è riuscita comunque a innalzare di 3 punti percentuali i propri fatturati di vendita rispetto alla primavera del 2005».

È tutta qui l'altra faccia della medaglia delle proteste che accomunano i colletti blu dell'Alcoa a quelli del Sulcis, o anche a quelli della Fiat. Dal lavoratore disperato in televisione al commerciante della bottega sotto casa con la saracinesca ormai irrimediabilmente abbassata, sono tutte vittime di un modello di consumo che si è inceppato e che molto probabilmente non risorgerà mai più, almeno nella forma con cui eravamo abituati a conoscerlo.

Rimpiangerlo non lo farà tornare, e neanche se ne sente così tanto il bisogno, data il consumo compulsivo di risorse che implicava (ed ancora implica, dove resiste). I consumatori sono ora più prudenti nel consumo, ma dopo il periodo dello scialo bisogna comunque stare attenti a non confondere la moderazione con la depressione. Probabilmente è il commercio italiano che si è risvegliato (tardi) dall'anarchia capitalista, ed ora piange perché il capitalismo di mercato ha fatto il suo dovere: oligopoli che mangiano i più piccoli. Tornare indietro, più che tardi sembra impossibile.

Piuttosto, ormai e purtroppo a danno già in corso, è l'ora di riconoscere che è di un nuovo modello di consumo che si sente la pressante esigenza: un modello che tenga conto della dimensione aperta dell'economia, aperta al resto delle strutture sociali ed aperta all'ecosistema che la circonda, e dei limiti e le possibilità che le une e l'altra portano in dote. Un modello che riconosca che ci possono essere i consumi depressi, piuttosto che i consumatori depressi dalla crisi (come vengono presentati anche nei termini del preciso rapporto Unioncamere): di cittadini depressi dalla crisi ce n'è abbastanza, dei consumatori possiamo farne a meno.

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