[11/09/2012] News

Contro i populismi di casa nostra recuperiamo la capacità di scegliere

L'ultima idea di Monti, un vertice ad hoc contro il lugubre riaccendersi dei populismi europei, non è affatto male. Aiuta a tastare con mano un'emergenza che, dalle crepe dell'economia, sta iniziando a sgretolare la tenuta dell'Unione e della sua legittimità agli occhi dei cittadini europei, minacciando una brusca frenata dopo i sessant'anni di pace dalla Seconda Guerra Mondiale (il più lungo di sempre nel Vecchio continente).

Se la proposta del premier troverà concreto seguito non potrà limitarsi ad indicare nella paura del diverso ed il risorgere dei nazionalismi come le sole e principali criticità per l'Europa.  Dopo cinque anni, la crisi ha lasciato per strada un fiume di posti di lavoro: l'ultimo studio Ires-Cgil - allargando il quadro dai soli disoccupati "formalmente riconosciuti" e includendo «l'enorme area della inattività», in particolare gli "scoraggiati" disponibili a lavorare e i cassaintegrati - lancia l'allarme con la cifra monstre «di 4 milioni e 392mila persone» in sofferenza occupazionale.

«È una simulazione molto realistica e prudenziale della vera area di disagio occupazionale - si riporta in una nota dell'Istituto ricerche economiche e sociali -  e rappresenta l' immagine, purtroppo più vera e drammatica, di come la crisi ha colpito il lavoro». E qui si allarga uno spread con l'Europa molto più concreto rispetto a quello degli interessi sui titoli di Stato: «Fra gennaio e luglio 2012 l'aumento dei disoccupati in Italia (+ 292.000) ha rappresentato un terzo dell'intero incremento complessivo europeo (+ 881.000)».

In questo quadro a tinte fosche, non solo il "diverso" minaccia la rottura sociale in Europa, ma anche il vicino. La ferita da guarire non è nascosta solo tra i neonazisti greci, ma è quella che fomenta la giusta rabbia del lavoratore che si sente abbandonato a se stesso, e verso il quale la politica ha tante, troppe responsabilità. Abdicando al suo ruolo di guida, evaporato ormai nell'etero mondo della finanza, ha tutt'al più concesso prebende a pioggia per tenere a galla imprese sulle sabbie mobili, piuttosto che indirizzare le risorse nell'indirizzo di una manifattura sostenibile, e dunque sostenibile anche nel tempo. Che crei posti di lavoro e non li sostituisca con sussidi (quando ci sono, e dunque non sempre, purtroppo), come chiedono i lavoratori dell'Alcoa, ieri a Roma a manifestare contro il loro destino.

Nel vortice della protesta è finito anche il responsabile Economia e lavoro del Partito democratico, Stefano Fassina. Spintonato e insultato (da un gruppetto che secondo alcuni non era neanche composto da lavoratori Alcoa), ha da sempre partecipato alle manifestazioni dei lavoratori, un tasto sul quale si è sempre dimostrato sensibile. Nell'intervento a sua firma pubblicato oggi sull'Unità scrive: «Gli spread della finanza accecano chi guida a Berlino, a Francoforte, a Bruxelles, quindi a Roma. Gli interessi più forti rimuovo le lezioni della storia. Andiamo in testa coda senza vedere il fossato dell'economia reale. La disperazione del lavoro diventa acuta e rianima i populismi».

Rispondere all'insorgere dei fantasmi del passato significa passare per la stretta cuna di un nuovo modello economico, sostenibile per definizione. Oltre i vertici di riflessione intergovernativa, è dunque arrivato il momento della concretezza. Occorre «piena autonomia culturale», come quella invocata da Fassina nell'intervista al Corriere della Sera, per provare a dare delle risposte precise a chi chiede una svolta, e non solo una ripresa dei consumi.

Nell'era del Big Data disponiamo di dataset sempre più ampli, precisi e di rapida diffusione circa le informazioni sullo stato di salute delle nostre economie, ma ora quel che manca è soprattutto il coraggio per interpretarli. Senza una bussola, questo mare di dati è più pericoloso che una semplice pozzanghera di numeri, anziché una grande possibilità. Tutto sta nello scegliere la bussola giusta, che qui suggeriamo ancora essere quella della sostenibilità economica, sociale, ecologica.

Il neoliberismo dell'economia mainstream suggerisce piuttosto un'eterodirezione dei dati, prima ancora che una tecnocrazia. I dati sono quelli - sembrano suggerire - e parlano da soli: c'è una sola via d'uscita. Sono passati cinque anni, ma la crisi è ancora il momento giusto per dimostrare il contrario.

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