[30/08/2012] News

La Russia sospende a tempo indeterminato il gigantesco progetto del gas condensato di Shtokman

Svolta "ambientalista" della Total: via dall'Artico, troppo costoso e pericoloso estrarre gas e petrolio

Dopo mesi di negoziati, confusione e infiniti mercanteggiamenti con i suoi partner stranieri, Gazprom ha finalmente dichiarato che lo sfruttamento del suo enorme giacimento di gas condensato di Shtokman, nei fondali del Mare di Barents, è sospeso a tempo indeterminato.

La notizia è arrivata ieri, alla vigilia di una riunione della partnership per lo sfruttamento del campo Shtokman, dove la russa Gazprom ed i suoi partner stranieri avrebbero dovuto trovare un accordo sulla strategia di investimento. L'annuncio dal monopolista di Stato del gas significa che anche il governo russo al momento non vede nessun ritorno economico per il suo contestatissimo progetto. 

Intervenendo alla Conferenza Norway's Offshore Northern Shores Oil and Gas, a Stavanger, in Norvegia, il responsabile produzione di Gazprom, Vsevolod Cherepanov, ha ammesso che «Il progetto è stato travolto dagli eventi del mercato internazionale del gas ed ha bisogno di ripensare la sua strategia nella spirale dei costi. Tutte le parti sono giunte alla conclusione che per il momento il finanziamento è troppo alto per essere in grado di farlo».

Si tratta di un evidente fallimento e di un duro colpo ai piani di sviluppo economico del presidente russo Vladimir Putin che puntava molto sull'accelerazione della produzione di gas naturale liquefatto per esportarlo in tutto il mondo e farne il centro della crescita economica della Russia.

Esultano invece gli ambientalisti che vedono nel fallimento del progetto un passo in avanti nella loro lotta per salvare i vulnerabili mari artici dall'iper-industrializzazione programmata dai consorzi petroliferi russi e internazionali.

Cherepanov ha detto  che i partner del progetto Shtokman Development, la francese Total e la norvegese Statoil, «Sono d'accordo con l'analisi di Gazprom che il progetto non può andare avanti alla luce dei costi crescenti. Tutte le parti sono giunte  alla conclusione che per il momento il finanziamento è troppo alto per essere in grado di farlo».

Il 28 agosto la Total, che detiene il 25% di Shtokman Development, aveva già mandato avanti  il suo vice presidente per le operazioni in nord Europa, Patrice de Vives, che aveva detto ai media norvegesi la sua compagnia era riluttante a trivellare nell'Artico per ragioni ambientali e per le difficili condizioni climatiche.

La Statoil a luglio aveva restituito il 24% delle quote del progetto che deteneva. La compagnia norvegese ha detto di aver cancellato circa 2 miliardi di corone norvegesi (336,2 milioni di dollari) di investimenti dopo che gli investitori non hanno rispettato i termini dell'accordo.  Solo ieri il portavoce Statoil, però, insisteva ancora per confermare trattative con Gazprom, che detiene il 51% di Shtokman, per rendere il progetto redditizio, anche di fronte all'evidente fallimento del mega-progetto.

A  Shtokman sembra però interessata la Royal Dutch Shell, cosa che ha confermato anche Cherepanov , dicendo che in futuro la Shell potrebbe anche partecipare insieme a un certo numero di engineering companies: «E' una possibilità. Una decisione finale sull'investimento nella prima fase del progetto, non arriverà prima del 2014». Ma in passato Gazprom ha già preso in considerazione e poi respinto altri possibili partener, come Norsk Hydro, ConocoPhillips e Fortum, ma tutti alla fine hanno abbandonato il progetto per le stesse motivazioni economiche ed ambientali

Frederic Hauge, presidente dell'Ong ambientalista-scientifica norvegese-russa Bellona, che partecipa alla conferenza Offshore Northern Shores , ha detto che «L'attuale stallo sul campo Shtokman era inevitabile.

Questo è ciò Bellona ha sostenuto per tutto il tempo, questo dimostra quanto sia tecnicamente difficile condurre operazioni petrolifere nell'Artico, così complicato che non è redditizio. Shtokman è stato descritto dal ministro degli esteri russo come il mozzo della ruota per le attività petrolifere nell'Artico: ora non hanno più questo hub».

Si ratta dell'ingloriosa fine di anni di colloqui sulle strategie di investimento, di tangenti fiscali e di altri problemi che riguardavano lo sfruttamento di un giacimento remoto, ma anche uno dei più grandi del mondo, con riserve di gas stimate in quasi 4 miliardi di m3. A metà luglio, poco dopo la scadenza di un accordo quadro con Total e Statoil, l'amministratore delegato di Gazprom, Alexei Miller, ha detto che all'inizio dell'autunno la sua compagnia avrebbe fatto una scelta definitiva dei partner stranieri.

Ma il nemico principale del progetto sembra essere la saturazione del mercato del gas statunitense causata dall'abbondanza di gas shale degli scisti. Il progetto Shtokman faceva affidamento proprio sulle esportazioni verso gli Usa e il crollo della domanda ha sgonfiato l'economicità dello sfruttamento dei gas condensati dell'Artico. Alla fine si sono rivelati salutari i ritardi dovuti soprattutto alle differenti posizioni della partnership Gazprom, Total, Statoil  se la produzione di Shtokman  dovesse essere fornita attraverso tubazioni o con la produzione di gas naturale liquefatto (Gnl).

Ma Bellona non è del tutto tranquilla e Hauge sottolinea un altro aspetto della decisione di sospendere il progetto: «I costi sono molto alti se vogliamo mantenere un livello di sicurezza soddisfacente nella fase di sviluppo di gas nell'Artico. Bellona è preoccupata che l'alto costo di produzione del petrolio nella regione artica porterà ad un calo ed a compromessi nella sicurezza e nella capacità di risposta alle fuoriuscite di petrolio».

La Total invece sembra aver dato una svolta: Vives ha detto al giornale norvegese Aftenbladet: «Siamo preoccupati per le conseguenze di una fuoriuscita di petrolio in queste aree. Incidenti possono sempre accadere, anche con la migliore tecnologia Ci sono molti luoghi in tutto il mondo in cui siamo in grado di trivellare e l'Artico non è un posto dove vogliamo essere. Pertanto, per esempio, non siamo interssati alle trivellazioni al largo della Groenlandia». Una svolta accolta calorosamente dagli ambientalisti e Hauge sottolinea: «Se la Total ora si tirasse fuori da Shtokman e dall'Artico, sarebbe un dono per l'umanità. Total dimostra che ci sono compagnie petrolifere che vogliono discutere delle operazioni complesse in aree vulnerabili nell'Artico».

Restano invece le critiche alla posizione ambigua di Statoil, secondo Hauge dietro il ritiro della compagnia norvegese dal progetto  Shtokman non c'è nessuna preoccupazione ambientale: Il desiderio di Statoil è quello trivellare la sua strada verso il Polo Nord insieme al ministro norvegese dell'energia, Ola Borten Moe, un estremista ambientale e petrolifero».

 

Torna all'archivio