[22/08/2012] News

Ecco come le specie animali rispondono ai cambiamenti climatici

Due studi su l’avifauna montana e il citello che cerca le aree modificate dall’uomo

Due nuovi studi condotti da ricercatori dall'Università della California di Berkeley forniscono un quadro più chiaro del perché, come e dove alcune specie si spostano in risposta al cambiamento climatico, e dove vanno.

Il primo studio, pubblicato su "Global Change Biology" ritiene che siano stati sottovalutati i cambiamenti delle precipitazioni come fattore che spinge le specie di uccelli fuori dal loro areale. Il secondo, pubblicato su  "Proceedings of the Royal Society B" esamina la forte diminuzione dell'areale degli scoiattolo di terra o citelli di Belding, ma ha anche osservato che questi piccoli mammiferi hanno trovato sorprendentemente rifugio in altre zone.

I due studi esemplificano il tipo di ricerca che viene attuato dalla Berkeley Initiative in Global Change Biology (BiGcb), che punta a capire meglio come le piante e gli animali rispondono alle mutevoli condizioni ambientali, studiando il modo in cui hanno risposto a precedenti periodi di cambiamento climatico.

I risultati dello studio sull'avifauna mettono in discussione la dipendenza dalla temperatura come unica forza che ha un impatto sul clima in cui vivono le specie. I ricercatori hanno notato che, in risposta alle variazioni della temperatura, ben il 25% delle specie si sono spostate in direzioni non previste. .

Morgan Tingley, principale autore dello studio, spiega che «I nostri risultati ridefiniscono il modello fondamentale di come le specie dovrebbero rispondere ai futuri cambiamenti climatici. Abbiamo scoperto che i cambiamenti delle precipitazioni possono avere un importante influenza, opposta alla temperatura, nel cambiamento di areale di una specie. Il cambiamento climatico può effettivamente strappare una parte della comunità di organismi».

I risultati si basano su dati raccolti dal progetto Grinnell, che ripercorre le orme di  Joseph Grinnell, fondatore del Museo di zoologia dei vertebrati di Berkeley, e che ha studiato la fauna selvatica della Sierra Nevada dai primi anni del 1900. Il progetto di riesame è iniziato nel 2003 e per lo studio degli uccelli, i ricercatori hanno esaminato 99 specie dei 77 siti di indagine storici nei parchi nazionali di Lassen Volcanic, Yosemite e Sequoia, così come in diverse foreste nazionali. Rispetto al tempo di Grinnell, nella Sierra Nevada in un secolo le temperature estive e invernali sono aumentati in media di 1-2 gradi Celsius. Il parco di Yosemite è quello ad aver sperimentato il maggior riscaldamento, + 3 gradi Celsius, mentre alcune aree del Lassen in realtà sono più fresche e molto umide.

Tra le specie di uccelli che si sono mosse più verso l'alto c'è il passero di Savannah, che ha spostato il suo areale fino a 2.503 metri,  ed altre specie frequentatrici dei prati come il Red-winged Blackbird e il Western Meadowlark. Altre specie, come l'Ash-throated Flycatcher, il Western Scrub-Jay, il Cassin's Finch ed il Red-breasted Nuthatch, si sono invece spostate verso quote più basse.

Tingley sottolinea che «La temperatura non spiega la maggior parte di questi cambiamenti. Solo quando abbiamo inserito precipitazioni come variabile esplicativa, i nostri modelli hanno spiegato adeguatamente i modelli di movimento che abbiamo osservato». I ricercatori hanno scoperto che l'aumento delle temperature tende a spingere gli uccelli verso l'alto, ma l'aumento delle precipitazioni, che è più comune ad altitudini più elevate, spinge altri uccelli verso il basso. «Crediamo che molte specie possano risentire di queste pressioni divergente dalla temperatura e delle precipitazioni e, alla fine, solo una vince», dice Tingley.

Oltre la metà delle specie di uccelli in ciascuna delle tre regioni di studio non ha riorientato il proprio areale nonostante le pressioni del  cambiamento climatico e Tingley è preoccupato: «Lo spostamento è un segno di adattamento, il che è buono dal punto di vista della conservazione. Più preoccupanti sono le specie che non si sono spostate. Come si stanno adattando? Sono in movimento, ma non siamo in grado di rilevarlo? O sono in lento declino per le condizioni ambientali via via meno ideale in cui vivono?».

Le risposte complesse potrebbero in parte venire dal secondo studio sul cambiamento dell'areale del citello di Belding (Spermophilus Richardsonii), che  vive nelle montagne degli Stati Uniti occidentali.

Anche questo team di ricercatori ha utilizzato le informazioni del progetto Grinnell e, con osservazioni sul campo e catture, hanno scoperto che lo scoiattolo di terra di Belding è scomparso dal 42% dei siti in cui era presente agli inizi del 1900 e che le estinzioni locali sono particolarmente comuni in siti con elevate temperature medie invernali e forti aumenti delle precipitazioni durante il secolo scorso.

Il leader del gruppo di studio, Toni Lyn Morelli, spiega: «Siamo stati sorpresi di vedere un tale drammatico declino in questa specie, che è ben nota agli escursionisti della Sierra e che si pensa sia abbastanza comune. In effetti, il tasso di declino è molto superiore a quello osservato nella stessa regione per la pika, un piccolo cugino di montagna del coniglio che è diventato il "poster child"  degli effetti del cambiamento climatico negli Stati Uniti continentali. Gli scoiattoli sono fiorenti in aree che sono state modificate dagli esseri umani. Ad esempio, il Mono Lake County Park irrigato serve come oasi artificiale che sostiene le popolazioni di scoiattolo, nonostante le condizioni altrimenti calde e secche nella parte orientale della California. Mentre le previsioni indicano che l'areale dello scoiattolo di terra di Belding potrebbe scomparire dalla California alla fine del secolo, queste aree potrebbero essere particolarmente importanti per questa ed altre specie che subiscono l'impatto del clima».

Anche se il citello di Belding è ancora diffuso, il rapido declino nella sua distribuzione è preoccupazione, perché è una fonte importante di cibo per rapaci e carnivori. Tuttavia, lo studio suggerisce che, anche quando il cambiamento climatico provoca riduzioni di areali di grandi dimensioni, alcune specie possono sopravvivere in aree modificate dagli esseri umani.

Steven Beissinger, professore del Department of environmental science dell'università di Berkley, che ha partecipato ad entrambi gli studi, conclude: «Nel loro insieme, questi due studi indicano che molte specie hanno risposto ai recenti cambiamenti climatici, ma le complessità delle esigenze ecologiche di una specie e le sue risposte alla modifica degli habitat da parte dell'uomo può portare a risposte impreviste. Questo rende molto difficile per gli scienziati di prevedere come le specie risponderanno ai futuri cambiamenti climatici».

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