[10/08/2012] News

Chi sono i cittadini di domani? Possibili sviluppi di consumo aggressivo attraverso il web

Uno specchio fedele dell'avanzare poderoso della globalizzazione proviene da strumenti come quelli che, sia io che scrivo che tu che leggi, stiamo utilizzando in questo momento. Personal computer e smartphone, ognuno collegato all'altro tramite il web, stanno profondamente cambiando il nostro modo di comunicare e - anche solo per lo strettissimo legame che intercorre tra il nostro modo di descrivere la realtà e quello di percepirla e viverla - questo mutamento non può evitare di riflettersi nell'intera società degli internauti.

È un cambiamento profondo, forse tanto profondo quanto quello seguito in Europa all'invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Johann Gutemberg, ormai più di mezzo millennio fa. C'è chi intravede in questo percorso - come l'economista Jeremy Rifkin, autore de La civilità dell'empatia - un segnale verso la nascita possibile di un coscienza biosferica che possa permettere agli esseri umani di empatizzare tra loro e con lo stesso ecosistema, passando dall'attuale e insostenibile modello di crescita materiale ad una società sostenibile. È questo un orizzonte possibile e certo auspicabile, ma nient'affatto scontato. Molti sono i fattori che remano contro questa visione, a partire dalla diffusione comunque parziale delle tecnologie necessarie, ristretta alla parte più ricca (e minoritaria) del mondo.

Un interrogativo ancora più importante da porsi, però, riguarda l'utilizzo delle sempre più ardite evoluzioni tecnologiche che possiamo sfruttare: Internet e social network sono comunque degli strumenti, che posso facilitare il passaggio tanto ad una civiltà globale dove è gratificante condividere la propria vita col resto di una comunità estesa quanto una dove le crescenti informazioni messe in circolo si riducono a pompare aggressive strategie di marketing per vendere e consumare senza sosta. Alcuni inquietanti segnali contribuiscono a controbilanciare l'ottimismo di Rifkin (che ovviamente ci auguriamo possa essere confermato).

Ad esempio, a fronte di alcune sporadiche lamentele circa l'utilizzo massiccio di dati personali dei propri utenti da parte di Facebook - che li utilizza legittimamente a fini commerciali per sostenersi sul mercato (e, da non molto tra le oscillazioni delle borse) - c'è chi prova addirittura a rincarare la dose. Come riporta la versione italiana di Technology Review, il cofondatore della start-up statunitense Personal, Shane Green, è convinto «che i navigatori di Internet siano pronti a condividere informazioni più dettagliate e rilevanti di quanto facciano di solito oggi, purché ne mantengano il controllo e, possibilmente, ne traggano profitto. Gli utenti della rete, lanciata lo scorso novembre, sono incoraggiati a caricare ogni sorta di informazione: da quelle più banali (ordini di pizza) a quelle più riservate (documenti relativi ai prestiti per studenti, prescrizioni mediche)».

Da parte sua, il direttore del Data science team del gigante blu della rete, Cameron Marlow, afferma che «É la prima volta nella storia che si hanno a disposizione così tanti dati sulla comunicazione umana». La rivista del Mit continua spiegando come Marlow sia «convinto che l'analisi di queste risorse, oltre a suggerire strategie per influenzare i comportamenti sociali a vantaggio di Facebook e degli inserzionisti pubblicitari, produrrà rivolgimenti sulle conoscenze scientifiche relative al comportamento umano: un lavoro che innoverà radicalmente il modo stesso di fare profitti, sia commerciali, sia conoscitivi».

In un momento storico durante il quale alla grande incertezza sul destino dell'economia mondiale si sommano profondi stravolgimenti nell'identikit dei consumatori, l'evoluzione che sarà permessa dalla crescente interconnessione umana è, come sempre, legata alle domande che ci poniamo al riguardo. Sanjeev Sanyal, global strategist di Deutsche Bank, su Project Syndicate afferma che «i paesi sviluppati continuano a dominare la fascia di reddito che può permettersi beni di lusso», ma si immagina che da qui al 2030 l'Asia racchiuderà i due terzi della popolazione a reddito medio del mondo: «Questa è la vera occasione di business», continua Sanyal, soppesando anche il ruolo dei sempre maggiori "nuclei familiari" comprendenti un'unica persona quanto il ritorno del modello della famiglia allargata o l'invecchiamento della popolazione, tutto nell'ottica dei mutamenti nel comportamento dei consumatori, per non perdere il treno dell'acquistismo.

Sanyal si chiede: «Chi sono i consumatori di domani?». Forse la risposta non è chiara, ma sicuramente questa è la domanda sbagliata tramite la quale osservare il cambiamento. Riprovare con «Chi sono i cittadini di domani?» potrebbe essere una buona idea.

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