[27/07/2012] News

Il futuro che vogliamo, l'unico possibile, è decarbonizzato

Il documento finale "The Future We Want" della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, tenutasi a Rio de Janeiro nel giugno scorso (vedasi www.uncsd2012.org ) tratta in tre paragrafi (190-192) il tema dei cambiamenti climatici, dichiarando:"Riaffermiamo che il cambiamento climatico è una delle più grandi sfide del nostro tempo, ed esprimiamo profondo allarme per le emissioni di gas a effetto serra che continuano ad aumentare a livello globale.

Siamo profondamente preoccupati che tutti i paesi, soprattutto i paesi in via di sviluppo, sono vulnerabili agli effetti negativi dei cambiamenti climatici e stanno già sperimentando maggiori impatti tra cui la persistente siccità ed eventi meteorologici estremi, l'innalzamento del livello del mare, l'erosione costiera e l'acidificazione degli oceani, ulteriormente minacciata la sicurezza alimentare e gli sforzi per sradicare la povertà e raggiungere uno sviluppo sostenibile [...] Prendiamo atto con grande preoccupazione del forte divario fra l'effetto complessivo degli impegni di mitigazione in termini di emissioni annue globali di gas serra entro il 2020 e l'andamento delle emissione aggregate in rapporto alla possibilità di contenere il probabile aumento della temperatura media globale sotto dei 2 °C o 1,5 °C al di sopra dei livelli preindustriali. [...] Esortiamo le parti della Convenzione Quadro ONU sui Cambiamenti Climatici e le parti che hanno sottoscritto il Protocollo di Kyoto di realizzare pienamente i loro impegni, nonché le decisioni adottate ai sensi di tali accordi."

Dal 26 novembre al 7 dicembre prossimi, a Doha, avrà luogo la 18° Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro sui Cambiamenti climatici che avrà un ruolo fondamentale per il nuovo Protocollo di riduzione delle emissioni che tutto il mondo sta, in maniera preoccupante, ritardando a definire e ad adottare.

Mentre il documento finale della Conferenza di Rio ha "riaffermato ed esortato", in questo mese di luglio, il Joint Research Centre della Commissione Europea, tramite il suo Institute for Environment e Sustainability (IES) e la Netherlands Environmental Assessment Agency (PBL), hanno pubblicato un interessante rapporto dal titolo ""Trends in Global CO2 emission: 2012 Report" (che è scaricabile dai siti http://edgar.jrc.ec.europa.eu/CO2REPORT2012.pdf  e www.pbl.nl/en ) che fa il punto sulla situazione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, principale causa del riscaldamento globale, dovute all'intervento umano.

Il dato riportato per il 2011 è certamente preoccupante: le emissioni globali di anidride carbonica sono incrementate del 3%, raggiungendo la cifra più alta di emissioni annuali di ben 34 miliardi di tonnellate. Questo dato segue quelli del 2009 dove si era verificato un declino delle emissioni dell'1% e quello del 2010 con un incremento del 5%. I maggiori paesi emettitori sono (sempre dati del 2011) : Cina per il 29%, Stati Uniti per il 16%, l'Unione Europea per l'11%, l'India per il 6%, la Federazione Russa per il 5% e il Giappone per il 4%.

In Cina il paese più popoloso del mondo, abbiamo oggi una media di emissioni di anidride carbonica pro capite di 7.2 tonnellate. Nel 1990 era di 2.2 tonnellate pro capite, mentre la media di emissioni nell'Unione Europea a 27 era di 9.2 ed ora, al 2011, è scesa a 7.5 e, negli Stati Uniti nel 1990 era di 19.7 tonnellate pro capite scese oggi a 17.3 che fanno comunque mantenere il livello di grande emettitore di anidride carbonica a questo paese anche per quanto riguarda il dato pro capite.

Tra il 2000 ed il 2011 si stima che siano state emesse 420 miliardi di tonnellate di CO2 a causa delle attività umane, compresi i processi di deforestazione.
La letteratura scientifica suggerisce che per limitare la crescita della temperatura media della superficie terrestre entro i 2° C rispetto ai livelli presenti in epoca preindustriale, dato che costituisce il target internazionalmente adottato nei negoziati delle Nazioni Unite nell'ambito della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, le emissioni cumulative di CO2 nel periodo 2000-2050 non dovrebbero eccedere il livello di 1.000 - 1.500 miliardi di tonnellate. Allo stato attuale della situazione se i trend attuali di emissioni dovessero continuare, le emissioni cumulative causerebbero il sorpasso di questo limite entro i prossimi due decenni.

La preoccupante accelerazione della fusione dei ghiacci in Groenlandia, segnalata dal satellite indiano Oceansat-2 e dai satelliti della Nasa, Terra e Aqua, deve farci profondamente riflettere sull'urgenza di intervenire per ridurre significativamente le emissioni di gas che modificano la composizione chimica dell'atmosfera e incrementano l'effetto serra naturale.

Oggi dobbiamo essere consapevoli, come la comunità scientifica internazionale che si occupa di scienze del Sistema Terra (che, nella grande conferenza scientifica di Londra del marzo scorso, "Planet Under Pressure", ha reso noto l'apposita "State of the Planet Declaration"vedasi www.planetunderpressure2012.net ), ci dice molto chiaramente, che l'intervento umano è equiparabile per dimensioni ed effetto, alle grandi forze che hanno modellato la Terra nell'arco dei suoi oltre 4.5 miliardi di anni di esistenza. I paragoni con quanto conosciamo dalla paleoclimatologia e dalla paleoecologia ci dicono che il livello della superficie dei mari, dovuto alla fusione dei ghiacci, si è sostanzialmente e significativamente modificato nell'arco della scala geologica del tempo.

Solo tenendo in considerazione il periodo che va dall'ultimo interglaciale, circa 125.000 anni fa all'ultimo periodo glaciale, circa 21.000-20.000 anni fa, il livello del mare è passato dai 4-6 metri o più del livello presente ai 120 metri sotto il livello attuale. Purtroppo ci scordiamo sempre di considerare che a queste situazioni di profondi stravolgimenti del passato che pure sono intervenuti nell'arco di millenni o di diverse centinaia di anni, non vi erano oltre 7 miliardi di abitanti sulla Terra, moltissimi dei quali presenti con sistemi urbani molto articolati, complessi e delicati sulle zone costiere degli attuali continenti.

Tornando alle emissioni ed al rapporto del Joint Research Centre della Commissione Europea è utile considerare che, in diversi paesi OCSE le emissioni di CO2 sono in calo: complessivamente nell'Unione Europea del 3%,negli Stati Uniti e in Giappone del 2% e questo è dovuto a diversi fattori che vanno dalle difficili condizioni economiche di diversi paesi nonchè alle situazioni climatiche invernali particolarmente miti in diversi paesi ecc.

Attualmente le emissioni dei paesi dell'area OCSE costituiscono un terzo delle emissioni globali, con la stessa quota di Cina ed India, dove le emissioni, nel 2011, sono cresciute rispettivamente del 9% e del 6%. Le emissioni in Cina sono dovute alla crescita economica che ha registrato un forte incremento nel consumo di combustibili fossili derivanti soprattutto dalla crescita delle costruzioni e dall'espansione delle infrastrutture come si evince anche dalla crescita della produzione di cemento e acciaio.

L'Unione Europea, come sappiamo, sta cercando di dare delle risposte a questo gravissimo problema per il nostro futuro.
Nel 2009 (vedasi Consiglio Europeo, 29-30 ottobre 2009, conclusioni della Presidenza del Consiglio Europeo (15265/1/09 REV1), l'Unione Europea si è posta l'obiettivo di ridurre le proprie emissioni di gas serra dell'80-95% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990, nel contesto delle riduzioni che i paesi sviluppati devono realizzare collettivamente secondo quanto definito dall'IPCC.
La realizzazione di un processo di transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio efficace in termini di costi comporta la necessità di pianificare il percorso economico ed energetico dell'Unione dei prossimi anni.

Nel 2011 la "Roadmap 2050" della Commissione ha proposto una tabella di marcia per le prospettive d'azione fino al 2050 che dovrebbe consentire all'Unione Europea di conseguire l'obiettivo di riduzione concordato preservando e supportando la competitività dell'economia. La Commissione ha definito una serie di tappe principali per verificare il rispetto dei tempi per il raggiungimento degli obiettivi, evidenziando le necessità di investimento e le opportunità esistenti nei vari settori.

Sulla base dei vari scenari analizzati risulta che un sentiero efficace dal punto di vista dei costi comporterà una riduzione delle emissioni rispetto ai livelli del 1990 del 25% entro il 2020, del 40% entro il 2030 e del 60% entro il 2040. Tale approccio implicherà, rispetto al 1990, riduzioni annue di circa l'1% fino al 2020, dell'1,5% tra il 2020 e il 2030, e del 2% negli ultimi due decenni fino al 2050, con un abbattimento delle emissioni che aumenterà nel tempo grazie alla disponibilità di una più ampia gamma di tecnologie con un buon rapporto costi-efficacia.

Il settore energetico ha il maggiore potenziale di riduzione delle emissioni, e si potrà arrivare al quasi totale abbattimento delle emissioni entro il 2050. Al 2030 il settore energetico prevede delle riduzioni comprese tra il 54 e il 68%.
La tabella di marcia per l'energia 2050(la comunicazione della Commissione Europea "Energy Roadmap 2050", COM(2011) 885/2) presentata nel dicembre 2011 dalla Commissione, analizza diversi possibili scenari di emissione fornendo una valutazione delle conseguenze di un sistema energetico a bassa intensità di carbonio ed identificando il quadro strategico necessario per realizzarlo. Gli scenario presentati sono 5 in aggiunta a due scenari business as usual. Gli scenari, concepiti combinando le principali politiche che concorrono alla riduzione delle emissioni (efficienza energetica, energia rinnovabile, nucleare, tecnologie di carbon capture and storage - CCS), hanno portato all'individuazione degli elementi cardine e dei cambiamenti strutturali necessari nel processo di decarbonizzazione del sistema energetico comunitario.

Nei 5 scenari di "decarbonizzazione" le forme di energia rinnovabile dovrebbero arrivare a coprire tra il 40 e il 60% della domanda di energia primaria, a fronte di risparmi di energia primaria che vanno dal 32% a oltre il 40%.

Un ruolo centrale sarà svolto dall'elettricità, che sostituirà, almeno parzialmente, i combustibili fossili nei settori del trasporto e del riscaldamento, e in percentuale il peso sulla domanda finale di energia aumenterà significativamente, arrivando al 36-39% nel 2050.
Nei cinque scenari proposti è presente il contributo dell'energia nucleare che, al 2050, varia tra il 2.6 e il 17%. Il CCS è prevalentemente destinato al sequestro delle emissioni industriali di processo.
Ambiti di riduzione ricadono ovviamente anche nel settore residenziale e dei servizi, nel settore industriale e nel settore agricolo ( che, in base alle proiezioni nel 2050, rappresenterà un terzo delle emissioni totali dell'UE, cioè un quota di tre volte superiore a quella attuale, ed il suo impatto sulla politica climatica è perciò destinato ad aumentare).

La situazione è sempre più articolata e complessa e perdere tempo prezioso non agendo è sicuramente la strategia peggiore da percorrere.

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