[26/07/2012] News

Province liquide: e se il territorio fosse definito dai confini delle risorse idriche?

Nei giorni scorsi, sulle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno, Giorgio Nebbia ha scritto un bellissimo articolo (quasi un documento) sull'importanza dei bacini idrografici che termina con una proposta:  «nella suddivisione e riaggregazione delle varie province, i nuovi confini potrebbero coincidere con quelli dei bacini idrografici, magari assegnando alle nuove province il nome del fiume principale».

Qualcuno sicuramente sarà saltato sulla sedia dicendo che è meglio non aggiungere confusione a confusione, invece questa sarebbe davvero un'opportunità, data dall'incombenza di un riassetto economico, per una riforma strutturale che ha radici culturali e ambientali profonde, che tra l'altro vengono sperimentate quotidianamente.

Lo stesso Nebbia, partendo dalle origini della valorizzazione del bacino idrografico, cioè dall'assemblea costituente della Repubblica nata dalla Rivoluzione francese del 1789 (che ha poi dato vita ai Dipartimenti), spiega, per arrivare all'Italia, che i confini fra le regioni e le province italiane coincidono, in molti casi, con quelli fra gli stati esistenti prima dell'unificazione  del 1861, mentre solo recentemente (alla fine degli anni '80 dello scorso secolo) viene rivalutata l'importanza del bacino idrografico,  territorio ben definito geograficamente i cui confini sono rappresentati dagli spartiacque di monti e colline.

«Nel bacino idrografico, che comprende il fiume principale e i suoi affluenti, torrenti e fossi, si svolgono tutte le attività agricole, industriali, urbane; nel bacino idrografico vengono immessi tutti i rifiuti solidi, liquidi e anche gassosi, generati dalle attività umane, ma anche i prodotti dell'erosione dei terreni: tutte le frazioni solubili dei rifiuti, dai residui dei concimi, a quelli industriali, ai rifiuti urbani, immessi nel bacino, si disperdono nelle acque superficiali e sotterranee e vengono trascinate dalle piogge verso il mare che funziona da grande collettore finale di tutti gli eventi ecologici ed umani che si sono svolti all'interno del bacino», scrive Nebbia.

Quindi una corretta pianificazione e programmazione delle acque senza dubbio, ma anche della materia (compresi gli scarti) e dell'energia può  essere e dovrebbe essere compiuta a questo livello come del resto a questo livello devono essere attuate le azioni di contrasto al degrado del territorio. Non dobbiamo dimenticare che un tentativo di superare l'attuale divisione amministrativa del Paese, in cui i bacini idrografici e i fiumi sono frazionati fra regioni e province vicine, che talvolta operano politiche diverse, c'è stato con la legge di difesa del suolo del 1989 che prevedeva che nell'ambito di ciascun bacino idrografico, venisse fatta attività di pianificazione di interventi e che fosse coordinata da un'Autorità, appunto di bacino, in sinergia con regioni o province diverse a seconda della dimensione del territorio a cui ci si riferiva.

Senza voler ripercorrere il parziale fallimento, non della legge ma della sua applicazione, nei fatti le Autorità di bacino hanno avuto voce in capitolo solo sulla riduzione del rischio idrogeologico e oggi sono messe forse nella condizione peggiore da quando sono state istituite: senza risorse e senza ascolto. Tra l'altro, nel frattempo, in base alla direttiva acque 2000/60, recepita dall'Italia con il Dlgs 152/2006, dovevano essere istituite le Autorità di distretto (territori più ampi costituiti da più bacini) ma in realtà nonostante qualche incarico "sostitutivo" non sono mai nate. Eppure tutti, ad esempio per quanto riguarda le acque, individuano nella eccessiva frammentazione di competenze la responsabilità di molte criticità che caratterizzano il settore.

Comunque questo, in parte, riguarda un altro discorso, mentre la "proposta Nebbia" a nostro avviso ha una portata e una cogenza tale, che merita almeno la riapertura di un dibattito a tutti i livelli. Del resto se vogliamo uscire dalla crisi economica con un modello di sviluppo diverso da quello che l'ha prodotta, è necessario ripensare anche all'architettura amministrativa con una proposta che sia più funzionale alle vere esigenze del territorio e dei cittadini che lo abitano, il che implica anche un'attenzione all'efficienza economica.  

 

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