[17/07/2012] News

Climate change, la risposta è la resilienza: «Tornare ad una geografia dove l’uomo è al centro»

Alfonso Crisci, ricercatore CNR e biometeorologo al consorzio Ibimet, Cnr e Lamma di Firenze, ne è convinto: la risposta ai cambiamenti climatici è la resilienza. Ossia quel concetto che unisce l'idea di resistenza, flessibilità ed esperienza: «La resilienza è legata alla memoria del luogo e a un "esperienza millenaria che ti dice dove costruire una casa, magari non  in riva ad un fiume o su un territorio sismico". Ed è proprio partendo dal locale, dalla memoria del luogo dove si abita, o dove hanno abitato i nostri avi, secondo lo studioso, che dovremmo capire come comportarci per combattere i cambiamenti climatici». E più in generale Crisci, quasi un antropologo  del clima che si occupa del rapporto tra il climate change e gli esseri viventi , lascia intendere  che la "resilienza" aiuti a sostenere e indirizzare i cambiamenti del clima. 

«La mia proposta - afferma Crisci, ospite Cospe ad un seminario sui cambiamenti climatici e cooperazione  allo sviluppo - è quella di ripartire da lontano, dal passato». Citando Donald Arthur Norman, ingegnere e psicologo statunitense,  Crisci dice «the new way is the old way», quindi un ritorno alla micro-comunità dove, nel piccolo, tutti i bisogni vengono assolti».

«Sebbene - continua - i  segnali del cambiamento arrivino a livello globale, come  l'aumento della CO2 nell'atmosfera, della temperatura globale e del livello dei mari, l'urbanizzazione o la deforestazione, il globale rimane per noi un'informazione, è come il termometro, dice a che livello è la situazione,  ma non dà  soluzioni. Voler incidere sul globale crea una frustrazione che porta al rigetto delle persone. Quello che possiamo fare noi è andare ad intervenire sulle informazioni del clima locale o sulle realtà locali: queste due poi incideranno sul clima globale».

Un'interpretazione che sembra allontanare dalle loro responsabilità la politica e le politiche, le grandi istituzioni, le "grandi decisioni" e i protocolli come Kyoto :  «Soluzioni a medio e lungo periodo che individuano il colpevole nei gas serra ma che non riescono davvero a risolvere o a incidere perché non partono dal piccolo e dal locale. Ad esempio l'IPCC, International Panel of Climate Change,  è l'organo scientifico che altre organizzazioni (fra cui le Nazioni Unite) usano per poter prendere decisioni sul clima, ma il tema è articolato e multiforme, la terminologia complessa; per questo è soprattutto necessario avere delle linee guida che ci permettano di conoscere e interpretare questo mondo, ancor prima di conoscere nello specifico tutti i singoli aspetti del processo di cambiamento».

Secondo Crisci la chiave è lo scambio di informazioni, ma non tanto da organismi competenti ai decisori politici, quanto tra comunità:  «Oggi, grazie alle tecnologie, è possibile superare il problema di dialogo che esiste tra le comunità e le loro rappresentanze locali, dobbiamo usare fonti alternative e lavorare sullo scambio di informazioni. La climatologia va intesa come trasferimento di informazioni fra punti.

Ad esempio il "climascopio" (strumento sviluppato in ottica web 2.0, che utilizza Google Earth per visualizzare diversi livelli informativi relativi ai cambiamenti  del clima, ndr) presenta on-line le informazioni raccolte a livello locale, dove chiunque può trovare tutte le informazioni relative ad un luogo. I nuovi media ed i social network come twitter ci permettono oggi di gestire al meglio le informazioni».

Il messaggio  quindi è quello di  «non avere un rapporto quasi religioso con le informazioni relative ai cambiamenti climatici, che dagli scienziati calano dall'alto sulle persone, ma  essere singolarmente e localmente preparati ad agire e a prendere le precauzioni necessarie a ridurre o guidare l'impatto dei cambiamenti climatici».

«Chi fa cooperazione  - conclude Crisci -  deve lavorare sullo scambio di informazioni, sulla resilienza, che è un concetto fondamentale: la capacità di mantenere la propria identità di funzione, la conoscenza della propria vulnerabilità e la consapevolezza di agire. Dobbiamo tornare ad una geografia dove l'uomo è al centro». 

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