[20/07/2012] News

Il vero fallimento spagnolo? Quello della società dei consumi

L'annuncio shock del ministro spagnolo del Bilancio, Cristobal Montoro, che sfugge dal vero problema

Colpita e affondata. Il ministro spagnolo del Bilancio, Cristobal Montoro, scopre le carte sul tavolo e annuncia ufficialmente che «la Spagna non ha un soldo in cassa per pagare i servizi pubblici. Se la Bce avesse comprato i titoli di stato il Paese sarebbe fallito». Fuori dal paese iberico, subito c'è chi si affretta a commentare che la situazione è grave, ma non poi così tanto come sembra: si tratta di una spallata per tentare di fiaccare le ostinate resistenze dell'inflessibile Germania? Gli spagnoli non sembrano pensarla così, e la rabbia monta ancora, misto a senso d'impotenza.

«Il consumo è l'arma più potente che abbiamo, e paralizzandolo i cittadini possono dare una risposta forte all'aggressione alla nostra economia da parte del governo». Ruben Sanchez, il portavoce di Facua-Consumatori in azione, un'importante organizzazione non governativa, ha chiamato i cittadini a boicottare i consumi per tutta la giornata di ieri. Dal primo settembre l'Iva salirà di tre punti, al 21%, e ieri è scattata l'iniziativa di protesta: «Bisogna ribellarsi contro una mossa pericolosa per l'economia spagnola - continua Sanchez - che mina gli interessi dei consumatori e delle imprese e avrà lo stesso effetto di un taglio dei salari, dell'indennità di disoccupazione, delle pensioni». Facua chiama il provvedimento «la grande bugia del governo», e inanella in un manifesto i 21 motivi che tacciano come assurdo l'aumento dell'Iva, lo ritengono «l'ultima goccia per molte aziende di questo Paese»,  ma senza una ripresa dei consumi queste saranno costrette a chiudere, con nuovi disoccupati. Un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.

«Fioriscono in rete appelli al razionamento - racconta Concita De Gregorio nel suo reportage per La Repubblica - al boicottaggio dei consumi per contrastare l'aumento dell'Iva. Un decalogo diffusissimo inizia così: "quando vuoi comprare qualcosa chiediti se è realmente necessario o se può aspettare. Non consumare energia: usa le scale per scendere e se puoi anche per salire. Spegni le luci, la sera usa le candele. Limita l'uso di tv e computer: gioca a carte, leggi libri"». È la decrescita infelice, quella imposta e non voluta.

Perché i consumi caleranno di per sé senza necessità di farli "decrescere". Il ministro spagnolo del Bilancio ha avuto il coraggio di ammettere quel che tutti sapevano: i vertici politici avranno mai il coraggio di fare lo stesso con la ripresa dei consumi? Non c'è sviluppo, e ovviamente non c'è sostenibilità, in una crescita materiale esclusiva (soltanto materiale, e solo per pochi, quelli che ancora potranno permettersela, a scapito di tutti gli altri). La sovracapacità produttiva è una causa delle crisi, non una sua conseguenza, e non voler riconoscere questa realtà porta al galleggiamento dei disoccupati tra un sussidio e la disperazione.

Riconoscere pubblicamente che il pre-crisi non solo non ci appartiene più, ma nemmeno ci apparterrà in futuro, significa iniziare e programmare un nuovo modo di produrre (e dunque consumare), attento ai flussi di materia ed energia in circolo nel nostro sistema economico, come alle loro ricadute ed interrelazioni con la società e l'ecosistema al quale appartengono. Un serio confronto ancora non è iniziato, ed eccoci fermi alle proteste sparse che indicano un disagio, ma per loro natura non possono offrire risposte organiche. E se non è la democrazia a muoversi, lo stiamo vedendo, ci pensano i mercati.

In una società votata al consumo, se non acquisti non esisti. Chi non si adegua alla religione del consumo è fuori da ogni metrica del buon cittadino-consumatore, ma ci sarà un risvolto positivo della crisi solo se questa porterà all'estinzione di questa nuova specie: l'homo consumer che ha sopravanzato l'homo sapiente.                              

Torna all'archivio