[18/07/2012] News

Gioventù bruciata (dalla crisi) .....

Oltre lo spread, nella crisi economica a soffrire sono gli individui, le famiglie, la società. Un dato di fatto dei più banali, ma che spesso viene perso di vista. Accantonato a favore degli andamenti dell'economia cruda, quella fatta di sole cifre, e che in fondo ha poco a che vedere con le scienze sociali. La massima ambizione dell'uomo è forse quella di mutare in un numero? Dietro i dati diffusi ieri dall'Istat si nascondo uomini e donne ed i loro progetti di vita (tranquillamente paragonabili a quelli di chi scrive, o di chi legge) infranti come onde su scogliere di numeri evidentemente troppo affilati.

Si accusa la governance politica proprio di fuggire il confronto sui temi della democrazia e dei diritti dei cittadini, per rifugiarsi nel campo dell'economia, che ha sostituito de facto la politica. C'è del vero in questo, ovviamente, ma soprattutto l'accusa dovrebbe essere rivolta al mancato collegamento tra l'economia e tutto ciò che le ruota attorno ed in definitiva gli dà forma: la società e l'ecosistema. È l'esagerato corteggiamento all'economia eterea da stigmatizzare, quella dei modelli puri e per questo con una presa così scivolosa sull'economia reale.

Anche nel ribattezzato "modello neoclassico di crescita", legato al nome dell'economista Robert Solow (che ottenne un premio Nobel per i suoi contributi alla teoria della crescita economica), si chiarisce che la desiderata crescita proviene dalla combinazione di tre fonti: dimensione e qualità della popolazione occupata, investimenti di capitale e progresso tecnologico. I tempi per una declinazione sostenibile della crescita (o meglio sviluppo, che presume anche una riduzione del volume di consumi materiali ed una posizione centrale del secondo principio della termodinamica e dell'entropia) non erano ancora maturi al tempo - parliamo degli anni ‘50 - e lo sembrano poco anche adesso. Dopo mezzo secolo, però, stupisce che lo sguardo sia volto in via quasi esclusiva ad uno soltanto dei tre elementi, quello degli investimenti di capitale (privato, of course), che latitano.

«A meno che un cambiamento significativo non avvenga nella qualità dell'istruzione che noi impartiamo ai nostri scolari, non vedremo mai un reale sviluppo». Queste parole, che pure suonano tanto familiari anche alle nostre latitudini, sono parte della relazione che (come riporta il Times of India) un altro premio Nobel per l'economia, Amartya Sen, ha tenuto all'università di Calcutta questo martedì. In India - che, pur economicamente in grande crescita, risente anch'essa della crisi - vivono una realtà completamente diversa dalla nostra, ma in tempi di spending review tutto il mondo è paese. In Italia l'attenzione allo sviluppo del capitale umano - che oltre all'istruzione, passa giocoforza per tutti quegli elementi che favoriscono il benessere generale della persona - è un bene sempre più scarso.

La sociologa Chiara Saraceno, su La Repubblica, commentando i dati Istat sopra citati, afferma che «la povertà minorile, che da anni aveva raggiunto percentuali problematiche, anche se non sufficientemente messe a fuoco nell'agenda politica, è destinata ad aumentare ancora, con conseguenze negative di lungo periodo innanzitutto per i minori coinvolti, ma anche per la società nel suo complesso. Il rischio infatti è di disperdere il capitale umano di una grossa fetta, circa un quarto, delle nuove generazioni, già molto ridotte demograficamente. È tra questi minori poveri, specie tra le ragazze, che si concentrano o si concentreranno in futuro i Neet, i giovani che non sono né a scuola né a lavoro».

Tornando alla metafora dell'uomo come numero, in termini strettamente economici si tratta di una mancata valorizzazione di una risorsa scarsa, ossia i giovani. Più sono scarsi (e lo sono, perché in tempo di crisi le possibilità di "dare una mano" alla demografia sono ancora più flebili), più i giovani dovrebbero essere oggetti di attenzioni e investimenti, mentre l'ossessione del rating rema nella direzione opposta, e l'ha vinta. Non può che averla vinta: per cambiare strada occorre una nuova prospettiva. Più Stato, sì, per guidare la ripresa su binari sostenibili, ma anche più attenzione al mercato e all'economia, quella vera, che non parli solo di numeri ma anche di persone.

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