[16/07/2012] News

La Germania č pių lontana: il miraggio della crescita e dell'export per tutti

Un altro colpo di cesoia è calato da Oltreoceano sul destino del nostro Paese. L'agenzia di rating statunitense Moody's ha infatti abbattuto di due scalini il rating dell'Italia, portandolo da A3 a Baa2 (con outlook negativo): un passo avanti nello scivolo che tocca il default, la penultima soglia prima di passare nel girone degli investimenti speculativi "high risk".

Sembra che le tre sorelle - le agenzie di rating "che contano" (è la metafora giusta), ovvero Moody's, Standard&Poor's, Fitch - si divertano ancora ad interpretare l'antipatico ruolo delle tre Parche, le tre vecchie della mitologia romana che filavano, custodivano ed infine recidevano il filo della vita degli inermi mortali, in questo caso gli Stati nazionali impotenti di fronte all'intreccio della finanza internazionale.

La soluzione più efficiente al problema? Quella attualmente più lontana, ovviamente: «La Bce risente molto dei limiti del suo statuto - ricorda su La Stampa Giuseppe Vegas, presidente Consob - e finché non avrà poteri simili a banche centrali come quella inglese, giapponese o americana sarà difficile fronteggiare gli attacchi speculativi». Preso atto della situazione data, e cercando di procedere nella direzione giusta per sbrogliarla, l'urgenza dettata dal presente impone di pensare anche a vie alternative da percorrere.

Quella scelta da Vittorio Grilli appare piuttosto l'ennesima pezza. Il neo ministro dell'Economia ritorna sul Corriere della Sera per rilanciare ancora una volta l'idea di vendere «beni pubblici per 15-20 miliardi all'anno, pari all'1% del Pil (prodotto interno lordo) per dare "un colpo secco al debito pubblico" e portarlo sotto quota 100 del Pil».

Anche la Corte dei Conti, date le attuali quotazioni di mercato, avverte però che «c'è il rischio di una svendita»: si partirebbe dunque male, ma senza disastri, se l'operazione si fermasse ad esporre nel mercatino internazionale delle pulci caserme dismesse e patrimonio immobiliare pubblico lasciato ad ammuffire. La cosa si fa ben più allarmante quando si vanno a toccare - come è già in programma - le aziende municipalizzate che erogano servizi pubblici locali o, ancora peggio (ma sembra una prospettiva più lontana), i grandi asset pubblici strategici per l'economia reale, come delle fette di Enel.

Perché proprio dall'economia reale, lo ripetiamo, dobbiamo ripartire. «Gli spread elevati sono soltanto colpa degli avvoltoi della finanza?» Stefano Fassina, sull'Unità, risponde di no. «Non illudiamoci. Sono conseguenza di politiche auto-distruttive che ampliano le divergenze economiche tra i Paesi euro»: politiche che sono comunque una risposta diretta ma cieca allo strapotere della finanza, e qui si chiude il cerchio. Fassina si spinge oltre, svelando un segreto di Pulcinella, sul quale il bon ton dei rapporti internazionali suggerisce di glissare.

Ai fautori della "via tedesca" come modello universale da seguire, in genere, nessuno fa notare che «affinché qualcuno abbia un attivo di bilancia commerciale (la Germania), qualcun altro deve avere un passivo (i Piigs, cioè noi, ndr). È, per costruzione, un gioco a somma zero. Non può essere a somma positiva».

In questo caso, vale il vecchio adagio per cui non esistono pasti gratis. Un assioma talvolta abusato o citato a sproposito, ma che in altre occasioni risulta incredibilmente ignorato.
In questo caso, la voglia globale di imitare la Germania (che è quel che è soltanto grazie alla sua posizione nello scacchiere europeo, in relazione a quella di tutti gli altri paesi) somiglia tanto al mai sopito desiderio di crescita materiale infinita per le nostre economie. Non possiamo crescere sempre, come non è possibile divenire tutti esportatori netti. Per esportare dove? A scapito di chi?

Per dirla con Fassina, «sul piano politico, nell'area euro e in Italia, è urgente che le forze progressiste prendano il timone e promuovano un Patto tra produttori, orientato a ridurre il debito pubblico attraverso lo sviluppo sostenibile. Altrimenti, l'involuzione economica e democratica in corso è irreversibile». Non sarà un'idea nuova, ma anche la sostenibilità è un prisma antico dal quale guardare il mondo, ed anche nella competizione di mercato è necessario cooperare per vivere (e non solo sopravvivere, che di questi tempi già sarebbe qualcosa): non solo tra produttori, ma coinvolgendo la società civile, scuotendola dal torpore di un consumismo passivo.

La multinazionale tedesca Wpd, ad esempio, per superare le "diffidenze Nimby" circa un suo impianto eolico offshore nel Gargano, pensa ad un «azionariato diffuso in modo che una percentuale degli utili possa rimanere nelle zone in questione» - come illustrato da Repubblica Affari & Finanza - Non è un'idea peregrina sulla quale ragionare. Rimanendo in attesa di un'evoluzione culturale che non incentri la vita soltanto su valori monetari, s'intende, ma per questo ci sarà ancora molto da lavorare.

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