[13/07/2012] News

Quanto petrolio rimane? Di certo viaggia sempre meno dalle nostre parti

La metafora della società liquida è altamente evocativa. L'immagine dell'acqua che scivola via tra le dita rende bene la precarietà dell'epoca in cui viviamo, una terra di mezzo tra un morente ordine delle cose e l'attesa nascita del nuovo, la cui lunga ed incerta gestazione non può che preoccuparci. Sebbene sia dunque l'acqua il primo elemento che istintivamente leghiamo all'idea di società liquida, la metafora resa celebre dal sociologo Zygmunt Bauman si modella altrettanto bene attorno ad un altro fluido, ben più vischioso. Il petrolio.

L'oro nero rappresenta il salto energetico e tecnologico che permette all'intero Occidente di godere del più alto tenore di vita, materialmente inteso, mai sperimentato nella storia dell'uomo. Visto dall'altro lato della medaglia, invece, il petrolio è piuttosto la fonte di innumerevole guerre e giochi di potere, del riscaldamento globale, di inquinamento, il simbolo della selvaggia alterigia dell'uomo nei confronti dell'ecosistema. Nero, viscido, maleodorante, basta una scintilla e prende fuoco: possiamo divertirci a trovarvi metafore che illuminino i lati più oscuri della nostra società, come pure quelli che racchiudono le prospettive aperte dal progresso scientifico.

Soprattutto, il volto che oggi più interessa del petrolio è la sua volatilità (altra metafora dell'incertezza nella quale viviamo). Il Sole24Ore, riprendendo l'indice Prometeia, riporta un «calo dei prezzi delle materie prime, a cominciare dal petrolio (-3% rispetto a maggio, ndr), in giugno ha comportato una netta riduzione dei costi di approvvigionamento per le imprese italiane», che a cascata ha interessato anche larga parte dei comparti industriali del Paese.

Nella stessa pagina però, in relazione alle previsioni Aie (Agenzia internazionale per l'energia) per il prossimo anno, si scrive che il mercato «al momento è ben rifornito e può continuare ad esserlo anche in futuro, nonostante le sanzioni all'Iran, grazie alla produzione di altri Paesi Opec (i sauditi avrebbero accresciuto l'output a 10,15 mbg in giugno) e non Opec, a cominciare da Usa e Canada.

Tuttavia non dobbiamo abbassare la guardia: il prezzo del barile "rischia di rimanere ostinatamente alto in termini assoluti" e ci potrebbero essere ulteriori rialzi legati a "cattive sorprese sul fronte dell'offerta", compreso l'eventuale rispetto dei limiti di produzione da parte dell'Opec, un traguardo che l'Organizzazione si è imposta all'ultimo vertice ma che finora è ben lontana dal raggiungere».

Da una diminuzione del costo al barile si passa al rischio di prezzi "ostinatamente alti". Grande è la confusione sotto il cielo, e sopra il mare di petrolio sul quale la nostra società galleggia. L'incertezza delle previsioni sul prezzo del petrolio si riversa indirettamente, ma con prepotenza, sull'intera economia: per un industriale, programmare investimenti con criterio (quel che tanto occorrerebbe per rilanciare l'occupazione) è sempre più difficile. «Quindi, che cosa ci possiamo aspettare per il futuro?», si chiede Ugo Bardi proprio sulle nostre pagine. «Come sempre, fare previsioni è pericoloso ma una cosa è certa: il petrolio non è mai stato gratis è questo non è destinato a cambiare. Nel futuro, costerà più caro via via che ne resta di meno. A un certo punto, troveremo che non possiamo più permettercelo».

Nell'immediato, il macrotema sul quale ragionare rimane però l'orientamento dei flussi di energia, che i Paesi in via di sviluppo catalizzano con sempre maggior vigore, a scapito dell'industria affaticata dell'Occidente. «Per la prima volta nella storia, l'anno prossimo i consumi di petrolio dei Paesi emergenti supereranno quelli del mondo industrializzato - precisa il giornale di Confindustria.

Un cambiamento irreversibile, assicura l'Agenzia internazionale per l'energia (Aie), che lo ha annunciato ieri nel suo rapporto mensile, e che segna una svolta davvero epocale, destinata a modificare in modo sempre più profondo la geografia dei rifornimenti energetici».

Non possiamo dunque far finta che questo disassamento ci riguardi soltanto quando mettiamo mano alla pompa della benzina per fare il pieno all'auto, magari categoricamente nel weekend per approfittare almeno degli sconti. Citando ancora i risultati Prometeia, il Sole informa che, di riflesso al petrolio, sono rilevati nell'ultimo mese «cali di prezzo per tutti i principali input e in particolare materie plastiche (-11,6%) e rame (-4%)».

Una sorta di scudo anti-spread dedicato, oltre che per calmare le acque agitate della finanza, sarebbe utile eccome per quietare un poco quelle delle materie prime. Che i prezzi relativi scivolino in basso o volino in alto, il problema della velocità dell'altalena, e dunque delle difficoltà della programmazione, rimane tutto (ad esempio, nell'industria del riciclo delle plastiche, che è ovviamente influenzata, oltre che dalle oscillazioni del prezzo del petrolio, anche da quelle dalla plastica vergine). Per un rinnovato e sostenibile tessuto industriale, che crei stabile occupazione, è dunque necessario riconoscere il primo monito proprio della sostenibilità: quello della complessità, che non può essere in alcun modo trascurato nel disegnare il tanto invocato quanto necessario rilancio industriale del nostro Paese.

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