[10/07/2012] News

Ricerca, la decrescita infelice: osannati e tagliati

I trecento ricercatori dell'Istituto Nazionale di Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione (Inran) sono saliti addirittura sui tetti, perché il loro Ente Pubblica di Ricerca, vigilato dal Ministero dell'Agricoltura, è stato semplicemente soppresso dal cosiddetto decreto di "spending review" varato la settimana scorsa dal governo. E se il destino professionale dei singoli ricercatori Inran è indeterminato, quella della loro attività - lo studio scientifico sistematico sulla sicurezza degli alimenti e la corretta nutrizione - sembra essere tramontato.

La domanda che i ricercatori dell' Inran si pongono è se il paese possa consentirsi di «perdere il treno dell'Europa cancellando gli investimenti per la prevenzione delle malattie croniche mediante una sana alimentazione». È certo una domanda interessata. Ma pone un problema generale. Siamo tra i paesi europei sia con il più alto numero di anziani (fascia d'età dove le malattie croniche incidono sulla salute e sulla domanda sanitaria) sia con il più alto numero di bambini obesi per cattiva alimentazione. La prevenzione non si esaurisce certo nell'attività dei ricercatori dell' Inran. Ma questa attività è, altrettanto certamente, uno dei capisaldi della prevenzione. Dunque, la domanda resta: possiamo rinunciare a uno dei capisaldi della prevenzione? Non è che per risparmiare (forse) qualche euro oggi richiamo di compromettere la salute e la stessa economia degli italiani nel futuro prossimo venturo?

I trecento ricercatori dell' Inran sono la punta emergente di un iceberg più profondo. Quello dell'intera ricerca pubblica in Italia. Il decreto di «spending review» ha operato dei tagli importanti: 19 milioni nel 2012, 102 milioni nel 2013, 102 milioni nel 2014 per gli Enti pubblici vigilati dal Ministero della Ricerca. E, sebbene il tema sia stato per ora accantonato, ha prospettato la soppressione per accorpamento di alcuni Enti, come l'Istituto Nazionale di Astrofisica - i cui ricercatori vantano le migliori performances in assoluto degli italiani nella letteratura scientifica internazionale - e della Stazione Zoologica "Anton Dohrn" di Napoli, il più antico centro al mondo di biologia marina.

La soppressione per accorpamento è un cattivo affare. Perché il risparmio è piccolo, se non nullo (la gran parte della spesa pubblica, in questi Enti, è per gli stipendi e, dunque, incompressibile a meno di licenziamenti) mentre la perdita in termini scientifici è enorme. Sciogliere l'Istituto Nazionale di Astrofisica nell'Istituto  Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) non è indolore. Anche se in entrambi gli Enti la ricerca è di altissima qualità (tra le migliori al mondo, nei rispettivi campi) e anche se entrambi si occupano di fisica, le differenze disciplinari sono molto forti. Accorpare l'Inaf all'Infn potrebbe portare alla distruzione della qualità della ricerca del primo e a una forte perturbazione nel secondo.

Ma il problema oggi principale è quello dei tagli. Agli Enti pubblici vigilati dal Miur (Ministero dell'istruzione, università e ricerca) lo stato ha assegnato complessivamente nel 2012 poco più di 1,4 miliardi di euro. I tagli previsti per il 2012 dal decreto di spending review ammontano, complessivamente, a 19 milioni di euro: più o meno l'1,4%. Non è poi molto, direte voi. Ma il guaio è, in primo luogo, che questi tagli intervengono a metà anno, quando la programmazione della spesa è stata già avviata e la spesa stessa consumata almeno per la metà. Inoltre i tagli salgono al 7% nel 2012 e all'8% nel 2014. Cifre importanti. Per almeno due motivi. In primo luogo perché, come abbiamo detto, questi soldi servono quasi tutti per pagare gli stipendi di ricercatori, tecnici e impiegati. Una spesa incompressibile. Dunque i tagli peseranno tutti sulle attività di ricerca.

Prova ne sia che i tagli maggiori in percentuale sono stati operati sul bilancio dell'Infn (l'Ente in cui il contributo pubblico è investito di più in attività di ricerca), nelle medesime ore in cui i ricercatori dell'Istituto annunciavano al mondo di aver scoperto, insieme ad altri, il «bosone di Higgs», uno dei più importanti traguardi raggiunti dalla fisica mondiale negli ultimi decenni. Per questo i ricercatori italiani dell'Infn sono stati giustamente osannati.

Osannati e tagliati. 

Non è un bel messaggio.

Inoltre va ricordato che l'Italia è uno dei paesi in Europa e nell'Ocse che investe di meno in ricerca scientifica e tecnologica. Appena l'1,1% contro la media mondiale del 2,0%. Poiché sono decenni che l'Italia è in queste condizioni, si è detto che la nostra è l'unica tra le grandi economie ad aver scelto un percorso di «sviluppo senza ricerca». Oggi, nell'era della nuova globalizzazione, paghiamo un prezzo salatissimo a questa scelta.

Il messaggio che viene dal governo è che non si cambia. L'Italia insiste lungo la strada di un'economia che fa a meno della scienza. Per chi fa ricerca, ha detto Fernando Ferroni, coraggioso presidente dell'Infn, suona come un messaggio mortale. Ma, a ben vedere, il tono del messaggio riguarda l'intero paese. Mostra che non ha ancora capito quali sono le cause profonde del suo ormai ventennale declino. E che si muove tentoni in un'enorme stanza buia nell'improbabile speranza di trovare una via di uscita.

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