[05/07/2012] News

Strabismo o cecitą? L'industria manifatturiera non tornerą al centro di nulla se continuerą ad ignorare i flussi di materia

Lo strabismo con cui si guarda alle potenzialità dell'industria manifatturiera europea, anche da parte della Confindustria italiana e di quella tedesca (Bei), comincia a diventare preoccupante. Lo diciamo alla luce del documento congiunto delle due confederazioni pubblicato oggi dal Sole24Ore  «L'Industria manifatturiera europea nella competizione globale: il rischio di restare indietro» che pur presentando un'analisi convincente dello stato delle cose e della necessità di un rilancio dell'industria manifatturiera «di fronte al pericolo di restare indietro nella concorrenza globale», ignora le potenzialità della green economy e, quando incrocia il problema della sostenibilità «Energia ed efficienza delle risorse», si limita a indicare che «Il settore manifatturiero europeo necessita di una politica energetica di lungo periodo per garantire prezzi ragionevoli e sicurezza degli approvvigionamenti», senza neppure nominare il problema delle materie prime. Tema invece caro non (o non solo) agli ambientalisti, ma persino alla Commissione Ue che ne ha fatto un cavallo di battaglia.

Il vicepresidente Tajani ha parlato in modo esplicito appena due mesi fa dell'opportunità di fare dell'Europa un leader mondiale nelle capacità relative al riciclaggio entro il 2020. La Commissione, ha detto Tajani, propone di agire, attraverso la «progettazione di prodotti per consentire il riciclaggio di alta qualità, e migliorare il modo in cui i materiali oggi considerati come rifiuti possono diventare materie prime secondarie (le nostre cosiddette "miniere urbane")». Possibile che di tutto questo in un documento così importante non ce ne sia traccia? E' vero infatti che rispetto all'energia «Dobbiamo estendere e migliorare le nostre reti - come si scrive nel documento -  transeuropee, in modo da rispondere ad una domanda crescente di elettricità e da integrare adeguatamente le energie rinnovabili» e che «I maggiori ostacoli agli investimenti in infrastrutture immediatamente necessarie sono la mancanza di incentivi in tempi di mercati energetici sempre più regolamentati, nonché il persistere di procedure di programmazione lunghe e burocratiche», ma che la speculazione sulle materie prime e la carenza delle stesse, terre rare e non solo, siano un problema enorme per la nostra industria e, per convesso, un'opportunità irripetibile di sviluppo dell'industria del riciclo che può farci diventare leader europei, non dovrebbe avere almeno lo stesso rilievo?

Chiudiamo con una semplice - ma non banale - considerazione: quando si parla di politica industriale si parla di scelte. Se siamo di fronte alla necessità, come lo siamo, di una vera e propria "New industrial revolution" questa non può che essere fondata sul criterio direttore della sostenibilità. Scegliere significa aver chiaro che i driver dell'industria sostenibile sono energia e materia. Che l'una e l'altra conferiscono sostenibilità attraverso l'efficienza nel loro uso e la rinnovabilità nella loro produzione. Che l'efficienza e la rinnovabilità della materia riguarda quella proveniente dai processi industriali e da quelli di consumo. Che la materia raccolta dai processi di produzione e quella raccolta a valle dei consumi deve rientrare nei cicli produttivi e deve avere gli stessi sbocchi di mercato altrimenti è dissipazione di risorse ambientali ed economiche. La sola rivoluzione energetica non ci salverà...

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