[02/07/2012] News toscana

Costruire l’acqua o tutelarne il ciclo naturale? Due strade a confronto

Fiumi di inchiostro per stabilire se l'acqua debba essere un bene pubblico. Dimenticando che l'acqua è un bene naturale. Nella Val di Cornia, come in tanti bacini, l'acqua viene da un fiume il quale alimenta delle falde profonde, che sono quindi una "banca" in cui si accumulano gli eccessi e da cui si preleva per i consumi. Come un conto corrente.

Solo che da un decennio nessuno si cura di come si ricaricano le falde idriche, che pure possono contenere 40 milioni di metri cubi. Una fortuna. Invece per un meschino profitto vengono scavate le ghiaie a monte e le acque di lavaggio di queste ghiaie sottratte al Cornia vengono riversate nel fiume. Sono cariche di argille e limi vanno ad otturare le naturali vie di ravvenamento delle falde profonde. Basta visitare il Cornia nel tratto intermedio, nel Comune di Suvereto, e troveremo le ghiaie "murate" in un letto di argille e non più, come erano, libere di far filtrare le acque di scorrimento nelle falde sottostanti.

Si è impermeabilizzato il letto del fiume, nella beata indifferenza di quelli dell'acqua pubblica, semipubblica o privata. E nonostante che gli allarmi siano stati lanciati per tempo.

Era stata costituita anche la cosiddetta "autorità di bacino" che è un Ente della Regione, con i suoi bravi costi e ben pagati funzionari, ma non ha mai ritenuto interessante intervenire su quello che succedeva al "bacino". Forse pensava di dover intervenire nelle effusioni sentimentali. E' stato quindi ridotto il sistema dell'accumulo primario di acqua. Ora si gettano grandi allarmi perché manca l'acqua nelle falde. Bella scoperta! Ci sono stati anche recentemente anni di grande piovosità, ma le acque sono andate a mare, non nelle falde, come avrebbero potuto fare se solo si fosse tutelato l'ambiente naturale.

Eppure anni fa, quando qualcuno si faceva carico del sistema naturale. Furono sperimentati interventi di ingegneria ambientale che aumentavano la ricarica con la manutenzione e la tutela dell'alveo, denunciando quelli che scaricavano i limi nel Cornia e guadagnando così milioni di metri cubi ogni anno. Tutto morto. Sarebbe come una famiglia che non controlla più quanto guadagna e poi si lamenta che il conto in banca è andato in rosso.

Poi ci sono i prelievi. Negli ultimi 40 anni sono stati mediamente più alti dei risparmi ed il deposito delle falde si è andato riducendo, provocando anche un abbassamento dei terreni con danni a molti fabbricati.

E se le falde si abbassano entra acqua di mare e si "raschia il fondo" trovando acque sempre più "vecchie" e cariche di "veleni". Qualità e quantità sono legate tra loro. Più acqua di mare entra e più aumenta l'arsenico, ad esempio. Una componente che 10 anni fa era ben sotto i limiti di legge. Ma siamo riusciti a non farci mancare nulla.

Era stata quindi studiata, un decennio fa, una strategia "ambientale" composta da due azioni convergenti:

1) Aumentare il ravvenamento, come detto prima, grazie al controllo contro le rapine in atto nel Comune di Monterotondo M.mo e con opere di ingegneria ambientale per aiutare il ravvenamento naturale nel Comune di Suvereto.

2) Ridurre i prelievi dai pozzi del sistema potabile grazie usando direttamente l'acqua del Cornia.

E' stato infatti dimostrato che le acque di scorrimento del Cornia nel suo corso mediano sono perfettamente potabili, anzi molto più leggere di quelle che provengono dai pozzi profondi e quindi il loro utilizzo avrebbe permesso di ridurre l'emungimento della falda per diversi milioni di metri cubi all'anno.

Queste due azioni convergenti avrebbero portato in pochi anni a ripristinare quel "deposito" di 40 milioni di mc. che avevamo nelle falde, scacciando l'acqua salata e quindi dando acqua irrigua a tanti coltivatori. Con le falde ripristinate non avremmo più il terrore dei periodi di siccità ed il problema dell'arsenico non si sarebbe proposto.

Insomma nulla da inventare, ma solo da ripristinare e tutelare un ciclo naturale.

Un processo che poteva e doveva essere già iniziato da anni, invece non si è fatto nulla e, puntuale (come programmata) è arrivata l'emergenza.

E la strada scelta è quella di fabbricare l'acqua artificiale. Niente tutela dei processi naturali, niente uso delle acque superficiali, ma sempre e solo il prelievo dalle falde ed il trattamento delle pessime acque che si troveranno, sempre più inquinate. E la minaccia di razionamenti per un solo anno di scarsa piovosità.

Il trattamento non solo costa moltissimo, ma consuma moltissima energia. Aumentiamo i consumi di energia da fonti inquinanti, inneggiando a quella rinnovabile che non si fa. Miracoli dell'ideologia!! Questa indifferenza ai processi naturali farà scattare a breve l'emergenza della salinità e quindi dopo il boro e l'arsenico avremo l'emergenza da cloruri e quindi la "necessità" di mettere in opera dei giganteschi dissalatori.

Già previsto: mettere mano al portafoglio, please. La guerra alla natura ha i suoi costi.

Gli investimenti per fare l'acqua artificiale vengono infatti caricati automaticamente sulle bollette e sono, per chi ci investe, più sicuri dei Bot. Chi deve pagare non ha scelta, essendo l'acqua in regime di monopolio e quindi senza alternativa di fornitore.

Fare la pace con la natura invece costa poco e da risultati permanenti, ed è questo il suo vero punto debole. Le opere che non costano non valgono, secondo la filosofia corrente nella pubblica amministrazione. Allora il problema non è tanto quello ideologico sulle acque pubbliche, ma quello sulle naturalità dell'acqua. E, volendo, una scelta di politica ambientale. 

 

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