[29/06/2012] News

La Bolivia di Morales al bivio dopo la marcia indigena contro la strada nel Tipnis

Appello internazionale per fermare un golpe strisciante

Il 27 giugno, la mobilitazione in favore dell'intangibilità del Territorio Indígena y Parque Nacional Isiboro Sécure (Tpnis) è arrivata nuovamente, dopo una marcia di 600 km e 62 giorni, nella capitale boliviana La Paz. Si tratta di una lotta iniziata ad aprile nel dipartimento di Beni contro la costruzione di una strada interdipartimentale nel Tpnis e che questa volta ha coinvolto mille "marchistas" che hanno consegnato  al governo  socialista del presidente Evo Morales un documento  nel quale chiedono l'annullamento del progetto della strada,  il rispetto degli accordi presi dopo la passata "marcha indígena" e la sospensione del referendum consultivo tra gli abitanti del Tpnis.

La mobilitazione dei mesi scorsi, segnata da durissimi scontri con la polizia, denunciò i possibili danni ambientali che la realizzazione della strada avrebbe provocato nel Parco nazionale. Nell'ottobre del 2011, dopo l'ottava marcia organizzata dalla Confederación de pueblos indígenas del Oriente Boliviano (Cidob), Morales promulgò una legge in difesa del Tipnis e annullò la costruzione della strada, ma a febbraio c'è stata un'altra marcia di coloni e coltivatori di coca vicini al governo e favorevoli alla costruzione dell'arteria che dovrebbe unire i dipartimenti di Beni e Cochabamba, che hanno chiesto il referendum sulla strada. Per questo il governo di Morales ha promosso un «Referendum libero ed informato»  tra i popoli autoctoni che dovrebbe approvare o bocciare la strada. Un referendum che i partecipanti della nuova lunga marcia  verso La Paz temono di perdere, visto che alla manifestazione hanno aderito 24 organizzazioni indigene del Tipnis, però altre 58 comunità che vivono nel Parco nazionale non hanno partecipato alla marcia e sembrano favorevoli alla strada.

I difensori del Tipnis  chiedono l'abrogazione della Ley 222 che prevede la strada e una regolamentazione del principio costituzionale per i referendum preventivo dei popoli indigeni che garantisca il loro diritto sui loro  territori in tutto il Paese. Il vicepresidente della Bolivia, Álvaro García Linera, ha detto che sarà avviato un dialogo con tutti, «Sulle basi legali segnalate dal Tribunale Costituzionale che esige prima  il consenso di un referendum tra i popoli  indigeni del Tipnis».

All'arrivo della marcia a La Paz si è temuto uno scontro  tra i manifestanti ed un gruppo di indigeni aymaras favorevoli a Morales che avevano organizzato una contromarcia. La tensione è salita per la presenza dei "ponchos rojos", un'etnia andina molto combattiva che ha inviato suoi rappresentanti in  appoggio ai sindacati ed alle altre organizzazioni sociali fedeli a Morales ed al suo Movimiento al Socialismo. Probabilmente tutto si è risolto in maniera abbastanza pacifica (salvo qualche manganellata) perché questa volta c'era uno sciopero della polizia e i pochi poliziotti presenti si sono limitati a controllare il migliaio di marciatori, invece di attaccarli brutalmente come avvenuto in occasioni precedenti   

Il  leader della mobilitazione per salvaguardare il Tipnis, Fernando Vargas, ha spiegato all'Ips che «La nostra marcia non reclama solamente la preservazione del Tipnis. E' un atto di difesa della dignità dei  boliviani per il rispetto di territori indigeni, oltre alla difesa della biodiversità, del'ambiente, della Madre Tierra e della Costituzione politica dello Stato». Il coordinatore generale della  Fundación Pacha Amuyu, l'antropologo aymara Juan Ángel Yujra, ha risposto che «una marcia ricevuta a da un'altra contromarcia indigena ha causato un dolore estremo». Per Yujra la  protesta a La Paz degli indigeni delle foreste tropicali rappresenta «Una rottura tra i settori sociali che nel passato hanno partecipato ad un'alleanza per dar vita al  governo a Morales. E' una prova di forza per definire di  chi abbia il  potere per definire un modello di sviluppo  "basato su una modalità  transnazionale" o la difesa della terra-territorio e della natura appoggiata da governi stranieri. Solo il  consenso può aiutare a risolvere il conflitto e a pacificare il Paese. Prevedo un'ampia lotta per le terre e la protezione ambientale, come un riflesso di altri conflitti di ordine mondiale». 

Che la situazione in Bolivia sia molto  diversa da quella della trionfale rielezione di Evo Morales lo si evince anche dall'appello "Paremos el golpe de estado en Bolivia"  della "Red de intelectuales y artistas en defensa de la Humanidad" e sottoscritto anche da Marco Consolo e Alessandra Riccio del Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea. Il folto gruppo di intellettuali ed esponenti di sinistra si dice preoccupato per il risorgere in Bolivia di forze golpiste che vogliono cavalcare le legittime rivendicazioni sociali «Per generare condizioni di destabilizzazione generale che arrivino alla possibile caduta di un governo emanazione della lotta contro le dittature civili e militari del passato. Le contraddizioni della società boliviana sono molte e si devono trovarne le cause. E  il governo  deve rappresentare l'espressione di un popolo in lotta per una trasformazione profonda, radicale, democratica e plurinazionale con tutto quello che implica; le organizzazioni devono assumersi con responsabilità politica la costruzione di questa altra società e dei suoi processi di ampia durata aiutando a trasformare le istituzioni e le forme di governo attuali in quelle che corrispondano alle nuove relazioni político-culturali che andranno caratterizzando la marcia verso un futuro emancipato e non capitalista». La Red de Intelectuales y Artistas En defensa de la Humanidad chiama il popolo boliviano «Che è il soggetto principale di questa storia ad affrontare con saggezza gli ostacoli che non smetteranno mai di essere presenti in questa costruzione ed a riflettere sul giorno seguente di un golpe che è istigato e sperato dalle forze più reazionarie, per tornare a sommergere i nostri popoli indifesi. Il principale beneficiario del trionfo sarà il popolo boliviano, però sarà anche la principale vittima della sconfitta, per citare René Zavaleta. Davanti a quella che pare un'offensiva continentale a cascata, con colpi di Stato  sequenziali, chiamiamo la comunità "nuestroamericana" ed internazionale ad essere vigile ed a cercare i modi per evitare una catastrofe sociale che mette a rischio tutte le nostre lotte e i processi di emancipazione».

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