[21/06/2012] News

I nuovi “discorsi al caminetto” per lanciare un New Deal sostenibile

Dalla banalità del male, alla rassegnazione al fallimento: la tendenziosa parabola che come società risulta imboccata con cieca decisione è quella che ci lascia sguazzare senza colpe nell'ignavia e nella deresponsabilizzazione più commerciale. Con qualche piccolo segnale incoraggiante che, per fortuna, talvolta torna a ricordarci come sia sempre in nostro potere cambiare la rotta disegnata: in Italia, ieri le tracce della prima prova degli esami di stato hanno affrontato di petto lo sfaccettato tema della crisi che la nostra civiltà sta vivendo.

In un'epoca nella quale quei riti di passaggio un tempo fondamentali per segnare la vita di ognuno sono pressoché scomparsi, l'esame di maturità rappresenta per i giovani un residuo di questo retaggio: dedicarlo ad una riflessione su alcuni dei problemi fondamentali per la loro vita è oltremodo significativo, al di là dello sterile significato pragmatico dell'esame in sé.

Per la società civile nel suo complesso è infatti fondamentale favorire e incentivare la vitalità e la formazione di un pensiero critico nei cittadini che la compongono. Ne va della sua stessa possibilità di progresso, piuttosto che di arretramento; proprio Eugenio Montale, nel suo Amazzare il tempo (da Auto da fé. Cronache in due tempi), una delle tracce proposte, scrive che si lavora anche per «accrescere i bisogni dell'uomo, cioè per ridurre al minimo le ore in cui è più facile che si presenti a noi questo odiato fantasma del tempo. Accrescendo i bisogni inutili, si tiene l'uomo occupato anche quando egli suppone di essere libero. "Passare il tempo" dinanzi al video o assistendo a una partita di calcio non è veramente un ozio, è uno svago, ossia un modo di divagare dal pericoloso mostro, di allontanarsene. Ammazzare il tempo non si può senza riempirlo di occupazioni che colmino quel vuoto».

Il tempo è una risorsa da sfruttare o di cui godere, ma lasciarla nel freddo abbraccio dell'inedia è uno dei più grandi delitti che ci sia possibile commettere. Non è però una crociata per la mera produttività esteriore la battaglia più importante da seguire quando, come si è detto, è innanzitutto la scarsa facoltà di creare, raccogliere e diffondere pensiero critico ciò che ci impedisce di trovare soluzioni condivise e creative per imboccare la via di fuga da una crisi non a caso definita di civiltà. Non a caso l'obiettivo racchiuso nel termine "sostenibilità" si realizza in un'evoluzione anzitutto culturale: senza questa, il rilancio industriale promesso della green economy, ad esempio, non potrà che fermarsi alla dimensione di episodiche scelte di consumo o imprese virtuose, senza creare una rete globale di cambiamento. Non dobbiamo cedere alla tentazione di "ammazzare il tempo". Il tempo va piuttosto riempito di contenuti.

Davanti alla triste - e purtroppo annunciata - mancanza di incisività mostrata a Rio+20, la Conferenza Onu sullo sviluppo sostenibile, non possiamo permetterci di fermarci affermando, come fa il Corriere della Sera, che i Paesi ricchi non «possono raccontare ai propri cittadini che le speranze di recuperare il benessere debbano passare attraverso sacrifici dipinti di verde». O, come scrive Tito Boeri su la Repubblica, di nuovo in riferimento alle tracce della prima prova della maturità, che «Il problema dei giovani è un problema di regole e istituzioni che li penalizzano, prima ancora che di cultura. E la cultura cambierà non per qualche articolo di giornale, ma proprio cambiando le regole».

Le regole sono da cambiare, e da rendere certe, ma sarà sempre facile aggirare una legge se non cambia la consapevolezza etica che le sta alla base, e che può derivare solo da una riflessione democratica e viva per definire quelle stesse regole. Abbiamo l'aspirazione di intraprendere un altro New Deal (la politica di stampo keynesiano con la quale il presidente F. D. Roosvelt tirò fuori gli USA dalla Grande Depressione, negli anni '30), un sostenibile Green New Deal per risollevare le sorti della nostra società: tiriamo fuori allora il coraggio di interpretare la politica Roosvelt fino in fondo.

«Con il miracoloso sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa - è la citazione dell'epoca, che la Repubblica ha raccolto dall'American Istitute for Public Opinion, fondato da George Gallup - per la prima volta nella storia ci dobbiamo confrontare con l'opinione pubblica come elemento determinante». Come scrive ancora la Repubblica, la capacità del presidente di far leva sull'opinione pubblica del proprio Paese «per far rinascere la speranza fu uno dei punti di forza del New Deal, grazie anche alla scelta di Roosvelt di rivolgersi direttamente agli americani riducendo drasticamente la distanza tra la politica e il Paese», tramite i suoi famosi e radiofonici "discorsi al caminetto". Non possiamo sottrarci ora dal nostro comune impegno: prendere in mano la responsabilità di redigere insieme il testo della versione aggiornata di questi discorsi, per comporre il canovaccio della nuova cultura della sostenibilità di cui abbiamo bisogno.

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