[18/06/2012] News

Iwi: l’indice della ricchezza inclusiva e della sostenibilità che guarda oltre il Pil (e l’Hdi)

L'Onu lancia il nuovo indice: «l'esame del capitale naturale è fondamentale per i policy makers»

E' ormai chiaro che il Prodotto interno lordo (Pil), basato sulla crescita economica, ignora il rapido, e in gran parte irreversibile, esaurimento della risorse naturali e la pesante eredità che lasciamo alle generazioni future: per questo da tempo si stanno cercando indici alternativi che determino il benessere delle nazioni, più che la ricchezza e la  "crescita".

A Rio de Janeiro l'International human dimensions programme on global environmental change (Unu-Ihdp dell'Università Onu e l'United Nations environment programme (Unep ) hanno presentato l'Inclusive wealth index (Iwi), un nuovo indice che guarda oltre i parametri del "sacro" Pil ma anche dell'Human development index (Hdi) per includere, oltre alla produzione, il capitale umano e naturale di una nazione, determinandone così la ricchezza e la sostenibilità della sua crescita: il "Wealth accounting" è il concetto che sostiene l'Iwi, che redige un bilancio riguardante i diversi Paesi e mostra i settori dove risiede la loro vera ricchezza. L'indice prende in considerazione una vasta gamma di beni d'investimento che una nazione ha a sua disposizione per garantire il benessere sociale e presenta un quadro più completo e informato per i policy makers sull'importanza di mantenere la base del capitale dei loro Paesi per le generazioni future.

I risultati dell'applicazione dell'Iwi vengono illustrati nell'Inclusive wealth report 2012 (Iwr) presentato alla viglia di Rio+20; un rapporto che analizza, dal 1990 al 2008, la ricchezza "inclusiva" in 20 Paesi che da soli rappresentano almeno il 76% del Pil del pianeta e il 56% della popolazione mondiale: Arabia Saudita, Australia, Brasile, Canada, Cile, Cina, Colombia, Ecuador, Francia, Germania, Gran  Bretagna,India, Giappone, Kenya, Nigeria, Norvegia, Russia, Sudafrica, Stati Uniti e Venezuela. Alcuni Paesi sono stati scelti sulla base dell'ipotesi che il capitale naturale sia particolarmente importante per la loro produttività di base, come nel caso del petrolio in Ecuador, Nigeria, Norvegia, Arabia Saudita e Venezuela, dei minerali in Paesi come il Cile e delle foreste in Brasile.

Inoltre il rapporto Unu-Ihdp/Unep  si concentra sulla sostenibilità dello sfruttamento delle attuali risorse  e non analizza il loro utilizzo tra il XIX e XX secolo, quando la rivoluzione industriale prima e quella dei consumi dopo  hanno portato molti Paesi sviluppati a seguire un percorso di crescita accelerato che ha impoverito il loro capitale naturale. Anantha Duraiappah, report director dell'Iwr e direttore esecutivo dell'Unu-Ihdp, spiega che «L'Iwr rappresenta un primo passo fondamentale per  cambiare il paradigma economico mondiale e ci obbliga a rivalutare come società le nostre esigenze e  obiettivi.  Offre un quadro rigoroso di dialogo con le molteplici "constituencies" che più rappresentano i settori ambientale, sociale ed economico».

Dallo studio viene fuori che «Nonostante la registrazione di una crescita del Pil, la Cina, gli Stati Uniti, il Sudafrica e il Brasile mostrano di avere impoverito notevolmente la base del proprio capitale naturale, la somma di un insieme di risorse rinnovabili e non rinnovabili, come i combustibili fossili, le  foreste e la pesca. Nel corso del periodo analizzato, le risorse naturali pro-capite sono diminuite del 33% in Sud Africa, del  25% in Brasile,del 20% negli Stati Uniti, e del 17% in Cina. Di tutti i 20 Paesi presi in esame, solo il Giappone non ha visto un calo del capitale naturale, grazie ad un aumento della copertura forestale».

Misurate con il Pil, queste economie nello stesso periodo sono cresciute molto: la Cina ha fatto un impressionante balzo del 422%, gli Usa  sono cresciuti del 37%, il  Brasile del 31%, il Sudafrica del 24%. Se invece la performance viene valutata con l'Iwi la Cina è cresciuta di "solo" il  45% il Brasile del 18%, gli Usa di appena il 13% e il Sudafrica in realtà è diminuito dell'1%.

L'importanza di guardare a tutta la gamma dei capital assets dei diversi Paesi diventa particolarmente evidente quando all'interno del dato generale si scompone quello della crescita della popolazione: «Quando viene incluso il cambiamento della popolazione per guardare l'Iwi su base pro-capite - sottolinea l'Unep - quasi tutti i Paesi analizzati registrato una crescita significativamente più bassa. Questa tendenza negativa è destinata a continuare per i Paesi che attualmente mostrano una forte crescita della popolazione, come l'India, la Nigeria e l'Arabia Saudita, se non vengono adottate misure per aumentare la base di capitale o rallentare la crescita della popolazione». Partha Dasgupta, professore emerito di economia a Cambridge e science advisor dell'Iwr, conferma: «Un aumento della ricchezza totale non indica necessariamente che le future generazioni consumeranno agli stessi livelli come quelli presenti; quando la popolazione cresce ogni  forma di capitale si assottiglia, con  uno spread su tutta la società».

I principali risultati del rapporto sono: 19 dei 20 Paesi analizzati hanno sperimentato una diminuzione del loro capitale naturale, 6  (Russia, Venezuela, Arabia Saudita, Colombia, Sudafrica e Nigeria) hanno anche visto un declino nella loro ricchezza inclusiva e sono sulla strada di uno sviluppo insostenibile e così non hanno possibilità di crescere davvero. In 5 di questi Paesi è la crescita elevata della popolazione rispetto alla crescita dell'Iwi a creare le condizioni di insostenibilità, mentre la mancanza di crescita in Russia è dovuta in gran parte alla debolezza del settore manifatturiero.

Il restante 70% dei Paesi mostra una crescita procapite dell'Iwi, indicando la possibilità della sostenibilità. Il 25% dei Paesi che mostrano un trend positivo quando le loro perfomance economiche procapite vengono misurate con il Pil o l'Hdi hanno un  invece un Iwi pro capite negativo e il driver principale di questa differenza di prestazioni è la diminuzione del capitale naturale. Ad eccezione di Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Norvegia e Usa, tutti i Paesi presi in esame hanno una quota maggiore di capitale naturale rispetto al capitale prodotto, evidenziando la sua importanza.

Il capitale umano è aumentato in tutti i Paesi e, nella maggior parte delle economie, è la forma principale di capitale che compensa la diminuzione del capitale naturale. Ci sono chiari segni di effetti "trade-off" tra le diverse forme di capitale. L'innovazione tecnologica e/o le plusvalenze petrolifere (a causa dell'aumento dei prezzi) superano la diminuzione del capitale naturale e i danni da cambiamenti climatici, ma spostano un certo numero di Paesi (Russia, Nigeria, Arabia Saudita e Venezuela) da una traiettoria insostenibile ad una sostenibile. Le stime della ricchezza inclusiva possono essere migliorate in modo significativo con dati migliori sugli stock di capitale naturale, umano e sociale e sul loro valore per il benessere umano.

Pablo Muñoz, direttore scientifico dell'Iwr evidenzia che «Mentre la maggior parte delle economie analizzate nell'Inclusive wealth report 2012 e più in generale nel mondo hanno goduto di positivi tassi di crescita economica, uno sguardo ad una più ampia base patrimoniale indica che sono arrivati ad alti costi fisici. Tali spese devono essere rispecchiate nel bilancio delle nazioni».

L'Inclusive wealth report 2012 sottolinea che «Mentre la ricchezza inclusiva è aumentata nella maggior parte dei Paesi, il rapporto dimostra che l'esame del capitale naturale è fondamentale per i policy makers. Anche se una riduzione del capitale naturale può essere compensata con l'accumulazione di capitale umano e di manufatti, che sono riproducibili, molte risorse naturali come il petrolio e i minerali non possono essere sostituite. Di conseguenza, per una definizione più inclusiva della ricchezza che garantisca un'eredità alle generazioni future è urgente la discussione sullo sviluppo economico e sociale».

Il rapporto, che sarà aggiornato ogni due anni, fa alcune raccomandazioni specifiche: «I paesi che testimoniano rendimenti decrescenti del capitale naturale dovrebbero investire nelle fonti rinnovabili del capitale naturale per migliorare il loro Iwi e il benessere dei loro cittadini. Esempi di investimenti comprendono il rimboschimento e la biodiversità agricola. Le nazioni dovrebbero incorporare l'Iwi all'interno dei ministeri della pianificazione e sviluppo per incoraggiare la creazione di politiche sostenibili. I Paesi dovrebbero accelerare il processo di passaggio da un quadro contabile basato sulla ricchezza a un quadro contabile basato sul benessere. Le politiche macroeconomiche devono essere valutate sulla base dell'Iwi piuttosto che del Pil  pro capite. I governi e le organizzazioni internazionali dovrebbero istituire programmi di ricerca per valutare le componenti chiave del valore del capitale naturale, in particolari degli ecosistemi. 

Secondo il direttore esecutivo dell'Unep, Achim Steiner, «Rio+20 è un'opportunità per chiamare il tempo sul Prodotto interno lordo come misura di prosperità nel XXI secolo, dato che come barometro di una transizione alla green economy inclusiva è troppo silente sulle principali misurazioni del benessere umano, vale a dire molte questioni sociali e lo stato delle risorse naturali di una nazione. L'Iwi fa parte di una vasta gamma di potenziali sostituti che i leader mondiali possono prendere in considerazione come uno dei modi per portare ad una maggiore precisione la valutazione della produzione di ricchezza al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile ed eliminare la povertà».

Il Rettore dell'università dell'Onu, Konrad Osterwalder, ha concluso che «l'utilizzo delll'Iwi potrebbe salvaguardare gli interessi di molte nazioni in via di sviluppo. Gli Obiettivi di sviluppo del millennio (Mdg) hanno funzionato come uno strumento importante per focalizzare l'attenzione e l'azione internazionale intorno alle pressioni chiave delle questioni globali. I 2015 fast approaches, il termine per il raggiungimento degli  Mdg, chiariscono che le opportunità per molti Paesi in via di sviluppo di raggiungere i propri obiettivi possono essere compromesse se continuano gli attuali tassi di declino dei vari servizi ecosistemici essenziali. Per invertire questo declino, abbiamo bisogno di un quadro contabile del capitale naturale, che prenda in considerazione il valore dei servizi ecosistemici in relazione alla ricchezza delle nazioni. Idealmente, d'ora in poi, sarà essenziale che le agenzie nazionali e internazionali si avvalgano della ricchezza pro-capite inclusiva come metro per misurare il progresso economico».

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