[15/06/2012] News

Rio+20: quanto siamo vicini al punto di non ritorno?

E' un'urgenza ancora più rilevante di quella relativa alla crisi economica e finanziaria

Mentre a Rio de Janeiro prosegue la terza riunione del cosidetto Preparatory Committee (www.uncsd2012.org ), purtroppo senza segnali evidenti di quella capacità innovativa e di leadership di cui abbiamo estremo bisogno per ottenere un valido testo per l'imminente Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, ancora una volta la comunità scientifica internazionale, fornisce ai negoziatori ulteriori e significativi elementi di urgenza.

Come ho scritto più volte nelle pagine di questa rubrica, richiamando puntualmente autorevoli documenti internazionali e i risultati di ricerche pubblicate sulle migliori riviste scientifiche internazionali , la comunità scientifica internazionale che opera nell'ambito dei grandi programmi internazionali di ricerca sul cambiamento globale (Global Environmental Change - GEC, vedasi in particolare l'Earth System Science Partnership www.essp.org ) da tempo avverte il mondo della politica che la situazione relativa alla relazione tra sistemi naturali e sistemi sociali è profondamente deteriorata e necessita di un urgente e necessaria inversione di tendenza.

Il numero della prestigiosa rivista scientifica internazionale "Nature" del 6 giugno riporta diversi articoli, oltre all'editoriale, relativi a commenti e resoconti su quanto si discuterà a Rio e pubblica alcuni lavori scientifici estremamente significativi sullo stato di salute dei sistemi naturali e il ruolo e gli effetti documentati e registrati della pressione dell'intervento umano.

Un lavoro molto importante è quello pubblicato da 22 scienziati di fama internazionale dal titolo "Approaching a state shift in Earth's biosphere" ( dovuto all'opera di Anthony D. Barnosky, Elizabeth A. Hadly, Jordi Bascompte, Eric L. Berlow, James H. Brown, Mikael Fortelius, Wayne M. Getz, John Harte, Alan Hastings, Pablo A. Marquet,, Neo D. Martinez, Arne Mooers, Peter Roopnarine, Geerat Vermeij, John W. Williams, Rosemary Gillespie, Justin Kitzes, Charles Marshall, Nicholas Matzke, David P. Mindell, Eloy Revilla & Adam B. Smith, pubblicato su Nature, Vol. 486, No. 7402, June 6, 2012).

In questo lavoro gli studiosi fanno presente che la nostra conoscenza, derivante da decenni di ricerche sulla dinamica dei sistemi naturali, ci ha portati a conoscere come diversi ecosistemi possono transitare in maniera repentina e irreversibile da uno stato ad un altro quando sono forzati ad attraversare una soglia critica.

Oggi abbiamo le evidenze scientifiche che l'ecosistema globale, la nostra meravigliosa biosfera dalla quale dipende la nostra stessa esistenza, può reagire in modi similari avvicinandosi ad una transizione critica a livello planetario come risultato degli effetti pervasivi e di ampie dimensioni esercitate dall'intervento umano.

Gli scienziati oggi ritengono plausibile il raggiungimento di un punto critico (Tipping Point) su scala planetaria che richiede ovviamente una grandissima attenzione da parte di noi tutti ed una raffinata capacità scientifica di registrare i primi segnali di allerta che preludono ad un passaggio di transizione critica su scala globale come sta già avvenendo a scala locale, per essere capaci di individuare i feedback che promuovono questa transizione. E' ovviamente necessario, come richiedono gli studiosi anche in questa bella pubblicazione apparsa su "Nature", agire sulle cause alla radice del come gli esseri umani stanno forzando i cambiamenti biologici planetari.

Barnosky e gli altri ricordano l'importanza di agire per ridurre la popolazione mondiale, per ridurre il consumo pro capite delle risorse, per ridurre l'utilizzo di combustibili fossili, per rafforzare l'efficienza energetica, per incrementare l'efficienza della produzione e distribuzione del cibo e per rafforzare le azioni di gestione e conservazione della biodiversità e dei servizi degli ecosistemi, sia negli ambienti terrestri che marini, cercando di mantenere il più possibile salvaguardate le parti della superficie terrestre ancora non dominate dall'intervento umano.

Il lavoro di Barnosky e degli altri 21 studiosi sottolinea come gli studi sulle dinamiche degli ecosistemi a piccola scala dimostrano che percentuali che vanno da almeno il 50% fino al 90% delle aree stesse risultano alterate e che interi ecosistemi stanno sorpassando punti critici che li conducono in stati differenti da quelli originali.

A scala più ampia i ricercatori fanno presente che per sostenere una popolazione di più di 7 miliardi di abitanti, ormai il 43% della superficie delle terre emerse è già stato convertito ad agricoltura, infrastrutture, aree urbane e profonde modificazioni di tanti ecosistemi e con i sistemi stradali che attraversano molto altro di ciò che resta. La crescita della popolazione, prevista di 9 miliardi al 2045, fa ipotizzare uno scenario dove almeno metà delle terre emerse saranno profondamente disturbate già entro il 2025. Questo aspetto viene ritenuto dagli studiosi un profondo disturbo che è molto vicino a rappresentare il verificarsi di un punto critico su scala planetaria.

Le numerose ricerche che si stanno producendo nel campo delle scienze del sistema Terra ci aiutano sempre di più a capire la dimensione del nostro ruolo nei sistemi naturali.

Agli inizi del 2008 un team di scienziati ben noti in questo ambito, ha pubblicato uno studio sui cosiddetti "Tipping elements", cioè i punti critici, del sistema climatico terrestre ( vedasi   Lenton T.M.,  Held H., Kriegler E., Hall J. W., Lucht W., Rahmstorf  S. e Schellnhuber H. J., 2008 - Tipping elements in the Earth's climate system - Proceedings National Academy of Sciences, 105, 6; 1786 - 1793).

Lo studio illustra alcuni degli elementi critici in alcune aree del nostro pianeta che potrebbero sorpassare una soglia critica per cui il verificarsi di una piccola perturbazione potrebbe qualitativamente alterare lo stato o lo sviluppo del sistema provocando, a cascata, una ampia scala di impatto sui sistemi umani ed ecologici. Le attività umane hanno infatti, come descritto in questo volume, la potenzialità di far transitare i sistemi naturali verso altri stati che potrebbero produrre effetti negativi per le società umane stesse.

Questi fenomeni sono stati descritti come "Tipping point" seguendo la nozione popolare che, in un particolare momento nel tempo, un piccolo cambiamento può provocare conseguenze ampie e di lungo termine, come ricorda il detto "piccole cose possono produrre grandi differenze" (Vedasi il ben noto libro di Malcolm Gladwell, 2000, The Tipping Point: How Little Things Can Make a Big Difference , Little Brown  edito in italiano lo stesso anno con il titolo " Il punto critico" da Rizzoli).

Lo studio indica 15 aree o fenomeni sui quali le ricerche sin qui svolte indicano la possibilità di un passaggio critico nell'arco di periodi che vanno da uno a 10, 50, 300 o molti più anni. Il fatto che alcuni di questi tipping elements, sottoposti ad un continuo cambiamento climatico antropogenico, possano raggiungere il loro punto critico tra pochi anni o entro un secolo, pone problemi seri alle reazioni politiche che si dovrebbero avere per evitare che ciò possa accadere. Le 15 situazioni analizzate riguardano: la formazione del ghiaccio artico estivo, i ghiacciai della Groenlandia, i ghiacciai dell'Antartico occidentale (WAIS), la circolazione termoalina dell'Atlantico (THC) , il cosiddetto El Nino - Southern Oscillation (ENSO), il monsone estivo indiano (ISM), il monsone occidentale Sahara/saheliano (WAM), la foresta tropicale amazzonica, la foresta boreale, l'Antarctic Bottom Water (AABW), la tundra, il permafrost, gli idrati di metano nel mare, la perdita di ossigeno negli oceani e l'ozono artico.

L'ambito di ricerche delle scienze del sistema Terra sui Tipping Points sta diventando sempre più ricco ed approfondito. Tra le altre pubblicazioni degli ultimi anni, la prestigiosa rivista dei "Proceedings of the National Academies of Sciences"(PNAS, www.pnas.org ) dell'Accademia Nazionale delle Scienze statunitensi ha dedicato un numero speciale, quello del dicembre 2009, ai Tipping Elements nel Sistema Terra, coordinato dal noto scienziato Hans Joachim Schellnhuber, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research tedesco.

Purtroppo questo, ormai permanente messaggio, sempre lucido e documentato della comunità scientifica non sembra essere utilizzato dal mondo politico per far prendere decisioni serie e impegnative nelle sedi negoziali internazionali.

Ancora oggi la maggioranza dei politici e dei decisori non riesce minimamente a comprendere che il deficit ecologico assunto sin qui dall'umanità e gli effetti che stiamo subendo e subiremo sempre di più in futuro per una totale sottovalutazione del valore del capitale naturale, sono da considerare un priorità di estrema urgenza.

Credo che si possa affermare che si tratta di un'urgenza ancora più rilevante di quella relativa alla crisi economica e finanziaria e che bisogna veramente fare in fretta per invertire la rotta.

Rio+20 deve assolutamente dare segnali significativi in questo senso.

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