[13/06/2012] News

Le modifiche dell'Antropocene all'Arctic Oscillation: inverni troppo freddi o troppo caldi saranno la normalità

Oceanography, il giornale della Oceanography Society Usa, ha pubblicato lo studio "Rip current: An Arctic wild card in the weather-Has Arctic climate change stacked the deck in favor of more severe winter weather outbreaks in the United States and Europe?" nel quale due ricercatori della Cornell University di Ithaca - New York,  Charles Greene, dell'Ocean resources and ecosystems program, e Bruce Monger, dell'Earth and atmospheric sciences, partono dal presupposto che «il Sistema climatico della Terra è complesso, non lineare e spesso risponde sia ai forcing naturali che antropogenici. Alcuni dei processi di feedback in queste risposte sono semplici e lineari ed hanno conseguenze prevedibili. Altri feedbacks sono meno intuitivi, talvolta con sorprese che possono cogliere la società impreparata».

I due ricercatori fanno l'esempio dei freddissimi inverni che negli ultimi tre anni hanno sperimentato alcune regioni europee e degli Usa e dicono che «Sembrano essere una delle sorprese derivanti da una maggiore riscaldamento del sistema climatico». Nuove osservazioni e studi di modellazione realizzati nel 2012 forniscono una forte evidenza che collega il recente declino estivo del ghiaccio del mare Artico alle ondate più frequenti di freddo estremo invernale e a grandi nevicate alle latitudini medie dell'emisfero settentrionale.

Greene e Monger spiegano che «Dal drammatico declino del ghiaccio marino artico durante l'estate del 2007, gravi focolai climatici invernali hanno periodicamente influenzato gran parte del Nord America, dell'Europa e dell'Asia orientale. Durante l'inverno del 2011/2012, un impulso freddo prolungato e micidiale scese nell'Europa centrale e orientale a metà gennaio. Con temperature "bone-chilling" che si avvicinano a -30° C e cumuli di neve che raggiungevano i tetti, il maltempo intrappolò oltre 100.000 persone nelle loro case per più di una settimana». Quando il tempo migliorò a metà febbraio, si contarono più di 550 vittime.

Nei due anni precedenti la costa orientale Usa e l'Europa occidentale e settentrionale avevano conosciuto inverni insolitamente freddi e nevicate sopra la media. Lo studio pubblicato da Oceanography sottolinea che «L'inverno del 2009/2010, in coincidenza con condizioni di El Niño nel Pacifico e con i dati più negativi dell'Arctic Oscillation (Ao) Index, è stato particolarmente grave, con registrazione record di temperature basse e di nevicate elevate in diverse città degli Stati Uniti e in Europa». La eccezionale nevicata "Snowmageddon", un evento meteorologico estremo che bloccò addirittura per una settimana l'attività del governo federale Usa a  Washington, avvenne proprio nel 2010. Invece il  tempo durante l'inverno del 2010/2011 sulla costa orientale statunitense era stato moderato grazie alla presenza della La Niña nel Pacifico, quindi le temperature insolitamente basse e le nevicate record a New York City e Philadelphia del gennaio 2011 colsero di sorpresa tutti i meteorologi.

«Durante l'autunno precedente - evidenziano i due ricercatori - il National climate data center (Ncdc) aveva previsto un inverno mite per la costa orientale a causa delle condizioni di La Niña. Col senno di poi, l'Ncdc ha spiegato gli scarsi risultati delle previsioni con la sua mancata considerazione dio una "wild card" del tempo: la forte tendenza, verso l'inverno, delle condizioni di Ao negativa». Con questa "wild card", l'Ncdc ha detto di considerare l'Ao  imprevedibile per più di due settimane di anticipo. Ma sorge un  problema: «Come i cambiamenti nel clima artico hanno truccato le carte a favore di condizioni Ao più negative? Affrontare questo problema è necessario comprendere l'evoluzione dell'Ao nel contesto dei recenti cambiamenti nel clima artico», dicono Greene e Monger.

Durante la maggior parte del XX secolo, l'Arctic Oscillation è stata studiata come l'elemento principale della variabilità climatica nell'emisfero settentrionale. In uno studio del 2011 Overland spiegava che «Durante la sua fase positiva, l'Ao è associata ad una pressione atmosferica più bassa del solito nella regione artica e ad un rafforzamento del Vortice Polare, che costringe masse d'aria artiche più fredde verso latitudini al di sopra del Circolo Polare Artico». Durante gli ultimi 20 anni del XX secolo l'Ao è entrata in una fase persistentemente positiva, che l'Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) nel suo rapporto del 2007 prevedeva che sarebbe continuato con un aumento del forcing dei gas serra. Ma il nuovo studio evidenzia che «Contrariamente a tale previsione, gli effetti amplificati di riscaldamento da effetto serra al di sopra del Circolo Polare Artico hanno portato a un indebolimento dell'Ao durante la fine degli anni ‘90 e al successivo sviluppo di condizioni climatiche che Overland e colleghi hanno indicato come "Arctic Warm Period"».

Un periodo di riscaldamento dell'Artico che ha portato a straordinarie riduzioni della superficie del ghiaccio marino estivo del mare Artico, soprattutto dal 2007. Greene e Monger evidenziano che «La perdita di ghiaccio marino estivo espone le acque superficiali più scure dell'oceano alla radiazione solare in arrivo. Il successivo assorbimento di questa radiazione solare e l'ulteriore riscaldamento dell'oceano ha due importanti feedbacks nel sistema climatico. Primo, una parte del calore in eccesso accelera ulteriormente lo scioglimento del ghiaccio marino estivo, formando la base di quel che è stato chiamato "ice-albedo feedback mechanism" (Deser et al., 2000). Secondo, durante l'autunno gran parte del calore residuo in eccesso viene gradualmente rilasciato nell'atmosfera attraverso l'evaporazione e le radiazioni, 'aumentando la pressione atmosferica e il contenuto di umidità nella regione artica, diminuendo il gradiente latitudinale delle temperature tra l'Artico e le medie latitudini (Overland e Wang, 2010). L'aumento della pressione atmosferica nell'Artico e la diminuzione del gradiente di temperatura latitudinale favorire lo sviluppo invernale di  condizioni AO più negative. Queste condizioni sono associate ad un indebolimento del Vortice Polare e del Jet Stream».

Un indebolimento del Vortice Polare lo rende meno in grado di limitare le masse d'aria fredde artiche, con il loro contenuto elevato di umidità, che invadono così le medie latitudini e portano intense ondate di freddo e nevicate in determinate regioni. Due recenti ricerche evidenziano che «Una corrente a getto indebolita è caratterizzata da una maggiore ampiezza dei meandri nella sua traiettoria e da una riduzione della velocità dell'onda di quei meandri» e su Oceanography si legge che «Queste caratteristiche tendono ad aumentare la persistenza dei modelli climatici a media latitudine, aumentando ulteriormente la probabilità di eventi climatici estremi. Un esteso Arctic warm period, con ghiaccio marino ridotto durante l'estate e una tendenza verso maggiori condizioni di Ao negativi durante l'inverno, nel prossimo futuro faranno da "ponte" a gravi fenomeni meteorologici invernali negli Stati Uniti e in Europa».

Ma se questi inverni estremi diventeranno più probabili, ci sono anche altri fattori che contribuiscono a determinare i modelli climatici invernali. I ricercatori fanno l'esempio della El Niño-Southern Oscillation che ha un'influenza importante sulle condizioni meteorologiche invernali negli Usa continentali: «Negli Stati Uniti orientali, la Jet Stream si sposta verso sud durante gli anni di El Niño, portando un inverno più freddo e più duro, e si sposta verso nord durante gli anni de La Niña, con un conseguente inverno caldo e mite. Le condizioni di Ao negativi possono amplificare gli inverni freddi  e rigidi che si possono incontrare durante gli anni El Niño, come è stato osservato durante il rigido inverno del 2009/2010. Inoltre, le condizioni Ao  negativi sono in ​​grado di produrre maltempo che, in contrasto con gli inverni caldi e miti, si possono incontrare durante gli anni de La Niña». Una condizione anomala che si è verificata nell'inverno 2010/2011 con  le già ricordate basse temperature e nevicate record a New York e Philadelphia.

Greene e Monger scrivono che «Il clima insolitamente mite osservata negli Stati Uniti orientali lo scorso inverno serve a ricordare che non esistono due inverni uguali e ci sarà sempre qualche incertezza nelle previsioni meteo regionali». Come per il 2010/2011, l'inverno 2011/2012 si prevedeva mite grazie alla presenza de La Niña nel Pacifico, ma a metà gennaio sono emerse condizioni Ao negative e l'Europa è stata colpita da micidiali tempeste di neve e da un freddo polare, mentre il tempo negli Usa orientali è rimasto insolitamente mite. A differenza dell'anno prima, La Niña ha continuato a dirigere il Jet Stream più a nord, così il Nord America è stato in condizioni di Ao negativa a metà inverno, permettendo alla costa orientale degli Usa di vivere il suo quarto inverno più caldo mai registrato. Ai marzo queste condizioni si sono ulteriormente rafforzate grazie alla situazione meteorologica nel Pacifico orientale, portando al record delle temperature elevate in tutti gli Usa orientali.

Ma, nonostante questo lungo periodo di caldo fuori stagione negli Usa  orientali, in altre parti dell'emisfero settentrionale l'inverno e l'inizio della primavera sono stati insolitamente freddi: secondo l'Ncdc la temperatura media globale per il marzo 2012 è stata la più fredda dall'inizio del nuovo millennio. «Negli ultimi tre anni le sorprese del clima invernale, sia calde che fredde, hanno occupato i titoli dei media negli Stati Uniti e in Europa - concludono  Greene e Monger  -  Sorprendentemente, il "remote climate forcing" dall'Artico sembra aver giocato un ruolo di primo piano in entrambe le dinamiche. La "dynamical teleconnections" che collega i recenti cambiamenti del clima artico al tempo alle medie latitudini vengono progressivamente liberati dal rumore di fondo del sistema climatico della Terra. Quando aumenterà la nostra comprensione di queste "teleconnections", migliorerà la previsione stagionale del potenziale delle condizioni meteorologiche. Inoltre, la società sarà meglio preparata a gestire i rischi associati a questo eventi meteorologici estremi, mentre si adatta alle sfide poste dal cambiamento climatico antropogenico». 

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