[13/06/2012] News

Fassina (Pd) a greenreport: «Priorità sostenere l’occupazione. Spazio alla proposta di Gallino»

«Creare nuovo paradigma culturale per ri-orientare valori e scelte su standard sostenibili»

La situazione economica e sociale dell'Italia, come dell'Europa, sembra oggi poggiata su un ripido piano inclinato, alla fine del quale si staglia minacciosa la presenza di un muro. L'impressione è che ci si stia avvicinando rapidamente ad un disastroso scontro frontale, ma per paura del colpo si continui a guardare da un'altra parte. Da qui a fine mese gli occhi di tutto il mondo saranno puntati sul consiglio Ue del 28 giugno - la cui attesa, ahinoi, sta oscurando la Conferenza Rio+20, la conferenza Onu sullo sviluppo sostenibile che si terrà pochi giorni prima in Brasile - per vedere se l'Europa sarà così cieca da continuare la sua folle discesa libera.

Eppure la crisi ha aperto, oltre a lugubri scenari di disfacimento politico della nostra civiltà-mondo, anche la possibilità di riformare questa stessa società. L'Europa e l'Italia potrebbero giocare un ruolo ben più alto che quello di piccoli cabotatori, aspirando a ridefinire piuttosto l'attuale paradigma socioeconomico nel quale viviamo, impostando su binari sostenibili: piuttosto che una sfida tecnologica, si tratta ora di canalizzare la volontà politica di cambiamento e fertilizzare il terreno culturale dove questa possa fiorire. In questo contesto, greenreport.it ha parlato delle sfide che ci attendono con Stefano Fassina, responsabile economia e lavoro del Partito democratico.

Dopo l'inno all'austerità il clima europeo e nazionale sembra virare sul richiamo ad una generica crescita, senza però declinarla. Non pensa che questo costituisca un errore in partenza?

«Credo semplicemente che si stia verificando quello che tutte le persone di buon senso avevano previsto con largo anticipo. La disciplina fiscale è un valore fondamentale, soprattutto in una realtà economico-finanziaria fortemente integrata, che dobbiamo perseguire con la dovuta attenzione; ma non rappresenta la soluzione ai problemi drammatici che ci troviamo ad affrontare. E questo perché alla base della crisi non ci sono i disavanzi pubblici, ma squilibri strutturali di competitività che, da quasi due decenni, si cerca di risolvere a spese dei lavoratori.

Questo ha creato un enorme allargamento delle disuguaglianze che, dal punto di vista congiunturale, si riflettono in una fortissima carenza di domanda. Chi pensa di risolvere la questione insistendo con le ricette che l'hanno determinata, evidentemente, non fa altro che portarci sempre più vicini al burrone. Mi riferisco soprattutto alla leadership europea, che, con scelte a dir poco miopi, ha minato alla base la stabilità dell'Eurozona.

Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che la strategia dei due tempi - prima il risanamento, poi la crescita - non funziona. Dopo tre manovre lacrime e sangue in quattro mesi, da dove dovrebbero saltare fuori le risorse della crescita, se guardiamo solo al pareggio di bilancio? Né, tantomeno, possiamo essere così ingenui da pensare che la crescita - che è l'unica vera soluzione anche per ciò che riguarda i problemi di finanza pubblica - possa venire dalle liberalizzazioni delle farmacie o dall'abolizione dell'art. 18. Siamo seri: serve rilanciare la domanda con misure che abbiano effetti immediati e, per farlo in questo momento, è necessario declinare con un po' più di ragionevolezza e di lungimiranza il dogma europeo della stabilità dei conti e del controllo dell'inflazione».

Sostenibilità e lavoro: queste sono le due priorità per la nostra società ed il nostro pianeta. Come pensa possano coniugarsi per uscire dal tunnel della crisi?

«Non esistono ricette facili per problemi complessi. Realizzare percorsi di crescita sostenuta e, al tempo stesso, sostenibile è quanto di più difficile si possa chiedere alla classe dirigente di un paese. Ma è anche il presupposto necessario per poter parlare veramente di Sviluppo con la s maiuscola, che è cosa ben diversa dal fuoco di paglia della crescita selvaggia, che spesso finisce per soffocare se stessa. È essenziale che la politica si prefigga come obbiettivo primario e costante la tutela della dignità del lavoro, che a sua volta presuppone la tutela dell'occupazione. Dopodiché, bisogna essere in grado di ri-orientare le scelte di famiglie e imprese verso standard sostenibili, sensibilizzando anzitutto gli individui verso comportamenti socialmente virtuosi.

È un lavoro lungo, che richiede la creazione di un nuovo paradigma culturale, che passa dall'istruzione e dall'informazione prima che da isolate politiche di settore. Dobbiamo fare in modo che determinati valori - penso, ad esempio, al rispetto dell'ambiente e del territorio, o alla tutela della biodiversità - diventino priorità per ciascuno di noi (a prescindere dagli incentivi materiali che date politiche possono offrire!) e non pesanti zavorre di cui individui e imprese sopportano il costo. Si tratta di un radicale cambio di visione, che certamente richiederà non poco tempo e significative assunzioni di responsabilità da parte delle classi dirigenti, ma che è l'unica strada percorribile per creare una forte "domanda di sostenibilità", in grado di stimolare il sistema produttivo e, di conseguenza, l'occupazione, in modo sistematico e coerente con i vincoli che il nostro pianeta ci impone».  

Il sociologo Luciano Gallino ha recentemente lanciato la proposta di un'Agenzia per l'occupazione che possa mobilitare i cittadini disoccupati offrendo loro un'occupazione retribuita, per portare avanti lavori sostenibili e socialmente utili* (vedi link fondo pagina). Pensa sia una proposta attuabile?    

«Si tratta di una proposta molto interessante, che senz'altro condivido nell'impostazione e nelle ragioni che la sostengono alla base: sostenere l'occupazione è il più importante degli obiettivi che un policy maker possa proporsi. Questo perché la disoccupazione non vuol dire solo non avere uno stipendio, ma vuol dire non avere una dignità, sentirsi esclusi dal fisiologico funzionamento della macchina sociale, restare ai margini. Questo è inaccettabile, soprattutto se sentiamo continuamente ripeterci da chi ci governa che lo scopo delle dure riforme che ci vengono imposte è quello di rendere il mercato del lavoro più inclusivo.

Per questo, ritengo che si dovrebbe avere il coraggio di dare seguito alla proposta di Gallino, che, lungi dall'essere il vaneggiamento di un sognatore, rappresenta un piano concretamente attuabile. Non vanno nascoste le difficoltà che una sua corretta implementazione comporterebbe, soprattutto in un momento di difficoltà per il nostro paese di finanziarsi sui mercati internazionali. Ma, prima che di ordine tecnico, le difficoltà in questione sono di ordine politico. Manca la volontà politica, soprattutto a livello europeo, di rilanciare l'occupazione con iniziative di quest'impronta ideologica. Perché, da circa un trentennio, il pensiero dominante ha insegnato ai giovani economisti e, ciò che è peggio, all'opinione pubblica che lo stato è nemico degli interessi degli individui, che la spesa pubblica è un male da estirpare e che la soluzione unica di qualsiasi problema è rappresentata dal mercato, dove ognuno ha quanto merita. Quanto tutto ciò sia lontano dal vero non è mai stato evidente come lo è oggi, ma ciononostante in pochi sono disposti ad ammettere il fallimento di una visione di questo tipo. Ed infatti, di fronte al disastro che viviamo, le soluzioni proposte sono ancora "più mercato" e tagli di spesa, per legare le mani di una burocrazia affarista, corrotta e spendacciona.

Ora, che nella gestione della cosa pubblica si annidino sacche di marcata inefficienza e di insopportabile malagestione è senz'altro vero. Il problema è che la propaganda liberista non ha saputo proporre una visione alternativa costruttiva, ma solo l'odio per ciò che è pubblico, diffondendo lo stereotipo dello "statale-parassita", che, senza produrre nulla, succhia soldi al povero privato che lavora sodo. La spaccatura sociale figlia di questa logica è sotto gli occhi di tutti e l'anti-politica ne è un sintomo. Purtroppo, sconfiggere questa ideologia e rendere socialmente accettabile la proposta di Gallino, ad oggi, è molto più difficile che trovare le risorse per metterla in pratica».  

Recentemente, il ministro Clini ha dichiarato che «Ci vorranno almeno quindici anni e quarantuno miliardi di euro per realizzare un piano nazionale per la difesa del territorio». Dato il quadro attuale, pensa che questo sia un percorso da poter effettivamente concretizzare, e come?

«Vale, in buona parte, il discorso appena fatto: tecnicamente il piano è attuabile, ma necessita di una volontà politica che non abbia timore di dire: "siamo disposti ad indebitarci per finanziare un'operazione di vitale importanza" e che sia in grado di spiegare perché interventi di questo tipo non sono procrastinabili e devono trovare una copertura adeguata senza ricorrere ad ulteriori aumenti d'imposte (che ad oggi non  sarebbero sopportabili) o a tagli della spesa sociale, che in questa fase ricopre un ruolo vitale. Per di più, il piano nazionale per la difesa del territorio non dovrebbe superare lo scoglio ideologico che caratterizza la proposta di Gallino. Il piano del ministro Clini, oltre a rappresentare un'esigenza infrastrutturale del paese, avrebbe anche effetti nel breve periodo, stimolando l'occupazione e creando centinaia di migliaia di posti di lavoro. Rappresentare queste istanze in Europa ed imporre un cambio di passo alla politica fiscale nell'Eurozona è una necessità non più rinviabile».

 

(*nel dettaglio: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/05/15/ecco-come-creare-lavoro.html)

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