[11/06/2012] News

Carlo Donolo: «Alle radici dei nostri mali una crisi cognitiva ed una normativa»

Viglietti: «Obsolescenza programmata degli oggetti e frustrazione programmata del consumatore»

Perché è così difficile scorgere una ripresa alla fine della crisi economica che ci segue in modo pressoché ininterrotto dal 2007 ad oggi? Perché chi dovrebbe dare una risposta a tale domanda - i vertici politici - si pone di fronte ad un quesito sbagliato. Non abbiamo di fronte una crisi circoscritta all'ambito economico e finanziario, siamo immersi in una crisi di civiltà, che presuppone mutamenti radicali nella nostra modalità di creare, definire e capire la nostra struttura sociale.

Carlo Donolo  parla di «crisi cognitiva e normativa», i cui effetti sono particolarmente visibili all'interno del nostro Bel Paese. Il sociologo dell'Università La Sapienza di Roma, assieme all'antropologo della Durham University Cristiano Viglietti e al presidente della Camera di Commercio di Livorno Roberto Nardi - coordinati dall'assessore alla Cultura del Comune di Piombino, Ovidio Dell'Omodarme - hanno dibattuto circa lo status quo e sulle possibili terapie per la guarigione in occasione della penultima giornata di Quanto Basta - festival dell'economia ecologica (Nella foto un momento della conferenza).

«La nostra condizione ci suggerisce che dobbiamo riflettere sui nostri deficit e le nostre debolezze - esordisce Donolo - Ci sono moltissimi problemi che andrebbero affrontati insieme, perché sono fortemente collegati, ma non sembra che abbiamo gli strumenti per afferrarli; finché durerà questa situazione di stallo politico regnerà grande incertezza, e questo porta ad un rigoglio di egoismi di parte, e sfiducia sul fatto che una vera trasformazione possa arrivare con gli strumenti politici a disposizione».

«Risalendo alle radici dei nostri mali possiamo individuare una crisi cognitiva ed una normativa - continua il sociologo - L'Italia è un paese dalla lunga tradizione culturale, ma c'è un 80% di analfabetismo funzionale, secondo i dati diffusi da Ignazio Visco, l'attuale governatore della Banca d'Italia; la nostra scolarizzazione di base è rimasta insufficiente, mentre i mezzi di comunicazioni di massa (in particolare la tv) hanno supplito alla funzione di socializzazione che la formazione ha mancato di fornire, in Italia più che negli altri paesi europei». Nel frattempo, il mondo che ci attornia è andato complicandosi progressivamente, e i cittadini faticano a comprenderlo.

«Anche se leggiamo di più rispetto al passato - segno di un desiderio di comunicazione - abbiamo una bassa cognizione delle nostre istituzioni e del funzionamento della nostra società (non sappiamo o non vogliamo interpretarla, ed i politici seguono queste tendenza dei cittadini), alla quale accompagniamo una tendenza molto bassa all'autoriflessione, debordando così da una crisi cognitiva ad una crisi normativa, un analfabetismo delle regole. Abbiamo un'estrema difficoltà a riconoscere che ci sono delle regole a carattere universale e che dunque ci riguardano da vicino. Una società complessa non può vivere senza una presenza di tali regole, mentre noi tendiamo ad offrire soluzioni private a problemi collettivi (regole particolaristiche o che favoriscono lo specifico gruppo d'appartenenza), come nel caso dell'evasione fiscale o del più banale parcheggio in terza fila».

Se non riusciamo a capire almeno a grandi linee la realtà che ci circonda, parlare di un reale cambiamento dello stato delle cose è solo sterile utopia. «La cultura di un popolo è fatta di modelli, rappresentati da gruppi di persone - precisa l'antropologo Cristiano Viglietti - Nella nostra società questi modelli sono dati dai politici ma anche dal Vaticano, dai calciatori, dai protagonisti della televisione, etc. Sono modelli che spesso si propongono come di lusso e spreco, e la loro presenza ed il loro successo è un aspetto della crisi cognitiva in atto. Se noi non capiamo che tali modelli sono negativi perché si collegano ad una visione della vita in cui più si consuma meglio è, non ne usciamo.

C'è così un'obsolescenza programmata degli oggetti e frustrazione programmata del consumatore, spinto al consumo per il consumo: non possiamo postulare che i nostri bisogni materiali siano infiniti. In società arcaiche il rapporto tra bisogni umani e natura erano concepiti come limitati: c'era consapevolezza che, dato che la natura è limitata, anche i nostri bisogni debbono esserlo. Quando noi utilizziamo le parole "frugalità" o "parsimonia", parole di origine romana, intendiamo la capacità di limitarci. Nella Roma arcaica frugalità e parsimonia si concretizzavano nelle leggi suntuarie, che realizzavano un'integrazione normativa di questi concetti. La nostra cultura invece si basa su modelli cognitivi e di comportamento che non accettano che la ricchezza possa essere in qualche modo contenuta. Nessuno nel nostro Paese vuole la patrimoniale, ad esempio: se c'è l'idea che la ricchezza in sé sia un valore, allora perché dovremmo accettare che questa debba essere punita tramite le tasse?»

Da questi presupposti ecco che la "crescita" economica è diventata la parola d'ordine di politici, sindacalisti ed economisti mainstream, quando la crescita tout court non è la soluzione al problema, ma una delle sue cause. Persa la capacità di pensiero critico verso il mondo che ci circonda, muoviamo spinti dall'ideologia e dal cieco desiderio di consumo per il consumo, che fonda su traballanti basi etiche il rogo del futuro sociale e dell'ecosistema, in favore di un'edonistica e fugace fiammata del presente. Riconquistare la volontà e la possibilità di scegliere e discernere tra molteplici possibilità di comportamento, programmare un percorso che tracci una linea tra quel che ancora può e deve quantitativamente e qualitativamente crescere, e cosa no: è uno sforzo di ragione ed immaginazione quel che ci viene richiesto da questo momento storico.

Le leggi si aggirano sempre - chiosa Viglietti - ed è l'etica ancora prima delle leggi a migliorare le sorti di uno Stato. Va ripensata la figura del cittadino come componente della società, ed ecco che bisogna ripartire dalla cultura e dalla formazione, che deve per forza passare dalla scuola, ma che non si riduce ad essa. È il nodo della comunicazione della conoscenza è fondamentale: deve essere inserita in una cornice di senso, dobbiamo essere consapevoli del perché delle nostre azioni per prendere coscienza di cosa possiamo fare per cambiare la situazione derelitta in cui la nostra Italia si trova».

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