[07/06/2012] News

C’è un Rinascimento industriale (sostenibile) da pilotare. Qualcuno si fa avanti?

La manifattura italiana perde colpi, e scivola giù nella graduatoria mondiale - dal 5° all' 8° posto - tanto da essere ora a rischio «la stessa sopravvivenza» la realtà che rappresenta. Il ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera (Nella foto), commentando a caldo i dati snocciolati nello scenario industriale proposto dal Centro studi di Confindustria, ha affermato che la seconda posizione comunque conservata dal nostro settore manifatturiero nello scacchiere europeo (dietro la sola Germania) «È la prova che la nostra imprenditoria resta forte».

Sarebbe forse più corretto affermare che, nonostante tutto, il manifatturiero rappresenta ancora oggi per il nostro sistema-Paese una spinta propulsiva fondamentale, ma che sta lentamente esaurendo il carburante per andare avanti, e procede a singhiozzo. Nel 2000 il comparto manifatturiero italiano occupava la 5^ posizione mondiale, preceduto da quello teutonico e seguito dal francese; nel 2007 - all'alba della crisi - eravamo sempre quinti (sempre preceduti dai tedeschi, ma seguiti dai sud-coreani, che avevano scalzato la Francia), mentre il 2011, a crisi economica inoltrata, ci vede in ottava posizione, di nuovo accodati dai cugini d'Oltralpe. Il terzetto che ci sta davanti è formato da due Brics - India e Brasile, in ascesa - e della Corea del Sud. Soltanto la Germania resiste, dei Paesi europei, conquistando la medaglia di legno della quarta posizione.

Ecco che le dichiarazioni di Passera sarebbero state più ficcanti se avessero fatto notare come la manifattura del nostro Paese stia piuttosto affondando insieme al resto di quella Europea, tranne qualche nocciolo duro. Le conseguenze della crisi sono però tentacolari, e non abbracciano solo il Vecchio Continente. «Non facciamoci illusioni - scrive l'ex-ministro tedesco Joschka Fisher, in un intervento ripreso e tradotto dal Sole24Ore - se l'euro dovesse andare in pezzi andrebbe in pezzi anche l'Unione Europea (l'economia più grande del pianeta), innescando una crisi economica globale di proporzioni tali che quasi nessuno tra quelli oggi in vita ha mai sperimentato. L'Europa è sull'orlo dell'abisso e ci cadrà a capofitto se la Germania - e la Francia - non imprimeranno una sterzata» virando, ed in fretta, verso una vera Unione, sotto il profilo politico ed economico. Le resistenze di stampo nazionalistico di entrambi i Paesi sono infatti, al momento, un freno potente a tale processo.

Senza un rinnovamento vero e proprio anche nell'organismo dell'economia reale, però, è difficile pensare di andare lontano. Al momento si continua a navigare a vista, orfani ormai da tempo di un indirizzo politico chiaro e condiviso in tal senso. Molti degli stessi rappresentanti dell'industria non sembrano avere le idee chiare in merito: ad esempio il vicepresidente di Confindustria, Fulvio Conti, che pure è consapevole della necessità di un «Rinascimento manifatturiero», fa parte a pieno titolo di quella Confederazione che tra le riforme strutturali necessarie (tutti le invocano, intendo però ognuno una riforma diversa) e più urgenti include una riforma del lavoro alla fin dei conti solo precarizzante per i lavoratori stessi.

Non sono certo queste le esigenze primarie, se si vuole rilanciare un qualche diverso e migliore modello di sviluppo. E, dato che non ne serve uno qualsiasi, ma occorre un rilancio declinato in modo sostenibile se lo vogliamo sano e durevole, sarebbe l'ora di volgere lo sguardo altrove che a prese di posizione ideologiche.

Lo stesso direttore del Centro studi di Confindustria, Luca Paolazzi, scrive sulle sue slide di presentazione che «Le materie prime sono un fattore di grande incertezza. Per l'altezza e le oscillazioni delle quotazioni e per la reperibilità. Siamo di fronte a un cambiamento di regime: le condizioni osservate negli ultimi anni sono destinate a perdurare e perfino ad accentuarsi [...] Nelle importazioni di materie prime già oggi Cina e India svettano, con quote sul commercio mondiale triplicate dal 1995 al 2009 e che arrivano fino ai due terzi dei minerali di ferro e la metà della seta e delle lane, il 40% dei metalli non ferrosi», sottolineando infine che «L'offerta fatica a tenere il passo».

Una ristrutturazione del modello industriale italiano ed europeo deve partire da qui. Dall'efficienza nell'utilizzo di materia ed energia, dall'industria del riciclo (che è manifattura) e delle energie rinnovabili, perché c'è da essere ormai stufi che l'economia continui ad essere prevalentemente dipinta come una scienza a sé stante, racchiusa nelle più svariate modellizzazioni presenti su fogli di carta. Stiamo parlando di una realtà concreta, racchiusa in una società ed in un ecosistema ancora più tangibili; se non lo riconosciamo, entrambi presto chiederanno il conto ai castelli di carta degli economisti mainstream, e sarà per tutti una parcella molto salata.

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