[01/06/2012] News

Sostenibili o alla deriva: la scelta obbligata per dare un futuro alla nostra società

Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ha esordito ieri davanti alla sua assemblea. Il momento è critico: lo segnala l'asettica spada di Damocle dello spread, che sale ancora, sperando che non ricada sul collo nudo dell'Italia. Il governatore non indica ricette specifiche (chi ne ha?), e annuncia che solo in caso di scenari «non troppo sfavorevoli» la caduta di Pil del Paese sarà nel 2012 dell'1,5%. La ripresa, secondo le previsioni, arriverà solo a fine anno ma, se il quadro rimane l'attuale - sinceramente - pare questo un dato fin troppo ottimistico, purtroppo.

Sbrogliare la matassa italiana però è solo uno dei tasselli (fondamentali) per cercare di uscire dalla crisi, una missione che lo Stivale non può certo accollarsi in esclusiva, nemmeno per risolvere le sue grane interne. Visco precisa che «Il percorso per tornare a crescere non sarà breve e imporrà costi a tutti. Spetta alla politica definire un organico» che - aggiungiamo noi - concretizzi una volta per tutte il principio per cui sì, i costi saranno per tutti, ma dovranno essere davvero equamente distribuiti e non solo a parole. «Non siamo più uguali - scrive oggi il sociologo Richard Sennet in un'intervista del Corriere della Sera - Se la politica non troverà le risposte, il nostro senso di comunità è destinato a indebolirsi in modo irrimediabile», con foschissime prospettive all'orizzonte.

Le mosse che la politica deve compiere, in Europa - spiega ancora Visco - appartengono ad una sfera unitaria: «Un'unione politica in Europa ancora non c'è. Sono necessari passi avanti nella costruzione europea: va definito un percorso che abbia nell'unione politica il suo traguardo finale, scandendone le singole tappe. Si devono rammentare le ragioni originarie fondamentali del progetto europeo, anche in sfere che trascendono l'agire economico», all'interno della quale, però, non basta seguire le indicazioni di Visco, che per l'Italia si fermano a chiedere di «proseguire con il riassetto di istruzione, giustizia e sanità. Anche le imprese devono rafforzare il loro capitale».

Alleggerire la pressione fiscale (che di per sé non può essere additata come il male assoluto, mentre sorvegliare sull'efficienza e l'efficacia nell'utilizzo del gettito rimane quanto mai doveroso) e tagliare la spesa pubblica (con quali criteri?) non può indirizzare un nuovo percorso di sviluppo.

Come ieri dichiarato dal ministro all'Ambiente Clini, commentando l'emergenza del terremoto in Emilia, «Ci vorranno almeno quindici anni e quarantuno miliardi di euro per realizzare un piano nazionale per la difesa del territorio»: da questa esigenza, e dal connubio di risorse pubbliche e private, dovrà partire la rinascita del nostro Paese, minacciato da una crescente fragilità del territorio, per mancato rispetto delle regole o cementificazione selvaggia. Questo significa green economy: valorizzazione ed efficentamento dell'esistente, creazione di nuovi settori industriali, con diversa e accresciuta responsabilità d'impresa, per quei settori dell'economia reale che devono e dovranno ancora crescere. Tutela del territorio, della biodiversità (e dunque dei relativi servizi ecosistemici), creazione di una filiera industriale nazionale ed europea che supporti la crescita delle energie rinnovabili, lo sviluppo solido settore industriale che parta dall'efficienza nell'utilizzo delle materie prime e si declini in un'industria del recupero e del riciclo di materia.

Progetti possibili, concreti, sviluppabili se ci fosse la volontà politica per farlo: valutare il percorso da compiere studiando la fattibilità della bozza proposta dal sociologo Luciano Gallino (che parla di un'Agenzia per l'occupazione che possa mobilitare i cittadini disoccupati offrendo loro un'occupazione retribuita per portare avanti lavori sostenibili e socialmente utili), lo ripetiamo, potrebbe essere un primo ed importante passo in avanti per tornare a creare occupazione.

Come riporta la Repubblica, «In Germania, un paese-leader sul tema ecologia, la ristrutturazione di case e palazzi per il risparmio energetico sul riscaldamento ha mobilitato investimenti per 100 miliardi e sta creando almeno trecentomila nuovi posti di lavoro l'anno. In Brasile, potenza globale di domani, l'economia ecologica dà lavoro già oggi al 7 per cento degli occupati». Una dimostrazione chiara di come poter lavorare per dare un futuro dell'economia mondiale, se futuro sarà; altre vie, ci pare, non sono date.

È oltremodo triste continuare ad osservare con ansia le riprese (poche) e i picchi negativi (molti) degli indici borsistici per cercare di indovinare nel loro movimento, come in una moderna arte divinatoria, quale sarà il destino che attende la nostra società. Finché però sarà a loro affidata la misura del nostro progresso non ci sono però molte altre alternative. I dati sono impietosi, come sempre: gli ultimi snocciolati dall'Istat ci ricordano che la disoccupazione in Italia è, ufficialmente, al 10,2% - il tasso più alto dall'inizio delle serie storiche mensili, nel gennaio 2004. Un attesismo sterile, ormai dovremmo averlo capito, non contribuisce ad altro che non a far precipitare la situazione, fino ad un punto di possibile non ritorno. Non possiamo permettercelo.

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