[01/06/2012] News

Obesità, la prossima generazione potrebbe essere la prima ad avere un'aspettativa di vita inferiore rispetto alla precedente

Martedì scorso a Milano, presso il Museo nazionale della Scienza e della Tecnologia, il WWF ha presentato con il ministro dell'ambiente, Corrado Clini e il Senior researcher del Worldwatch Institute, Michael Renner, l'edizione italiana del nuovo rapporto del Worldwatch Institute, "State of the World 2012. Verso una prosperità sostenibile" (Edizioni Ambiente, prestigioso rapporto annuale ben noto in tutto il mondo che ho il piacere di curare, in edizione italiana, da 25 anni).
Il lancio del nuovo "State of the World 2012" ha avuto luogo nell'ambito del 3° Convegno "Semi di sostenibilità" che il WWF realizza, insieme ad Electrolux, con una serie di iniziative educative destinate alle scuole e dedicate alla penetrazione e al consolidamento di una cultura della sostenibilità.

Ho già avuto modo di parlare, nelle pagine di questa rubrica, del rapporto del Worldwatch di quest'anno che è stato stampato in ritardo rispetto al solito (ogni anno viene infatti pubblicato agli inizi di gennaio) per avvicinare di più la sua pubblicazione alla Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile che avrà luogo a Rio del Janeiro dal 20 al 22 giugno prossimi (vedasi www.uncsd2012.org).

Mi sono particolarmente soffermato su quanto il rapporto scriva relativamente alla tematica della Green Economy, oggetto della Conferenza Rio + 20, ma ovviamente il rapporto tratta nei suoi diversi capitoli, in maniera chiara e ben articolata tante tematiche importanti per cercare di avviare le nostre società verso un percorso di sostenibilità dei nostri modelli di sviluppo sociali ed economici, tutti i temi che sono nell'agenda della Conferenza di Rio.

Il rapporto si sofferma, attraverso i suoi diversi capitoli, scritti sempre in maniera chiara, divulgativa ma rigorosa, e in una logica di connessione tra le varie problematiche, su tanti argomenti fondamentali per il nostro immediato futuro: dal cammino dei paesi sovrasviluppati verso impostazioni economiche di decrescita alla pianificazione dello sviluppo urbano, della mobilità urbana, delle tecnologie per l'informazione e la comunicazione per le città e dell'edilizia sostenibile, dalla governance globale per la sostenibilità alla sicurezza ed equità alimentare, dai problemi della popolazione a quelli dell'impatto dei consumi, dalla tutela della biodiversità alla centralità del ruolo dei servizi che gli ecosistemi forniscono al benessere ed alle economie umane, ecc.

L'interessante capitolo sul cammino dei paesi sovrasviluppati verso la decrescita scritto da Erik Assadourian è molto interessante. Colgo l'occasione per ricordare ai lettori che dal 19 al 23 settembre si terrà a Venezia presso lo IUAV, la terza Conferenza internazionale sulla decrescita, sulla sostenibilità ecologica e l'equità sociale (vedasi i siti www.venezia2012.it e http://degrowth.org ).

Negli ultimi cinquant'anni la crescita è stata considerata come una panacea per tutti i problemi della società. In realtà la continua crescita economica è alla base dei profondi e drammatici cambiamenti ambientali globali (Global Environmental Change) che ci stanno creando un futuro molto plumbeo. E' opinione corrente di molti studiosi, osservatori ed analisti che la nostra determinazione miope nel voler ignorare i fatti e continuare sulla solita strada ci condurrà verso una crisi di gran lunga più grave rispetto a qualsiasi altro evento che ci ha colpito negli ultimi anni e da cui sarà ancora più difficile riprendersi.

Anche la debolezza con la quale procedono i negoziati per la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile ci conferma questo quadro certamente non confortante. E mentre questo potrebbe essere evidente per chi studia i trend ambientali, ricorda Assadourian, la società è così impegnata a crescere che persino numerosi ambientalisti ed esperti di sviluppo sostenibile continuano a sostenere la "crescita verde" o semplicemente il disaccoppiamento tra crescita e consumo di materie prime (i cosidetti flussi di materia). Come osserva Harald Welzer, autore di Mental Infrastructures: How Growth Entered the World and Our Souls, "il dibattito attuale sul disaccoppiamento... serve principalmente a preservare l'illusione che per ridurre gli impatti sull'ambiente della crescita economica basta apportare un numero sufficiente di cambiamenti minori, lasciando intatto il nostro attuale sistema".

Ma l'umanità ha bisogno di trasformare in modo radicale l'economia globale, riducendone le dimensioni di almeno un terzo - secondo un prudente calcolo basato sugli scenari del calcolatore dell'impronta ecologica (realizzato dal Global Footprint Network), riportato nei rapporti "Living Planet Report" del WWF internazionale, in particolare nell'ultimo del 2012, l'umanità sta attualmente sfruttando la capacità ecologica di un pianeta Terra e mezzo - e questo nonostante un terzo dell'umanità, quello più povero in assoluto, abbia bisogno di aumentare i propri livelli di consumo per poter raggiungere un livello di vita dignitoso.

Come ricorda sempre Assadourian, che è codirettore insieme a Michael Renner dello State 2012, alla fine, gli abitanti dei paesi sovrasviluppati dovranno seguire concretamente un percorso di decrescita altrimenti continueranno a scendere lungo la china della crescita finché le coste saranno inondate, i campi saranno completamente aridi e altri importanti cambiamenti ecologici non li obbligheranno ad abbandonare la crescita per buttarsi a capofitto in una corsa folle per la sopravvivenza della civiltà. 

Se le popolazioni sovrasviluppate continueranno a ignorare i cambiamenti che si profilano all'orizzonte - facendo gli struzzi con la testa sotto la sabbia - allora questo passaggio sarà brusco e doloroso. Ma se si inizia da subito a perseguire una strategia di decrescita, una diversificazione economica e un sostegno dell'economia informale, prima che la maggior parte dell'energia e del patrimonio sociale si concentri su come reagire ai cambiamenti ecologici, queste popolazioni sovrasviluppate potrebbero scoprire una serie di benefici per la sicurezza a lungo termine, per il benessere loro e per quello dei sistemi naturali della Terra.

Assadourian ricorda che anche i paesi sovrasviluppati soffrano infatti di una serie di disturbi collegati ai consumi eccessivi. L'indicatore più chiaro riguarda la diffusione dell'obesità, una vera e propria piaga nella maggior parte dei paesi industrializzati e delle élite nel mondo in via di sviluppo. Negli Stati Uniti due adulti su tre sono sovrappeso oppure obesi e questo riduce la qualità della loro esistenza, riduce l'aspettativa di vita e costa al paese un extra di 270 milioni di dollari all'anno per spese mediche e perdita di produttività per morti premature e invalidità.

Questa epidemia potrebbe addirittura far sì che la prossima generazione abbia un'aspettativa di vita inferiore a quella dei loro genitori, principalmente a causa dei problemi legati all'obesità quali cardiopatie, diabete e alcuni tipi di cancro. Sono statistiche drammatiche, ma molti ci prosperano: le aziende del settore agroindustriale, i produttori di alimenti lavorati, i rivenditori, gli ospedali, le case farmaceutiche e altri, tutti traggono vantaggio dal mantenimento di questo status quo. La sola industria alimentare negli Stati Uniti guadagna fino a 100 miliardi di dollari l'anno sull'obesità.

E su questo fronte gli americani non rappresentano un'eccezione, piuttosto una tendenza. Nel 2010, nel mondo c'erano 1,9 miliardi di persone sovrappeso oppure obese, con un aumento del 38% rispetto al 2002, sebbene nello stesso periodo la popolazione mondiale sia cresciuta dell'11%. Purtroppo l'obesità non è l'unico effetto collaterale del sovrasviluppo. Maggior indebitamento, orari di lavoro prolungati, dipendenza farmacologica, perdita di tempo nel traffico e addirittura più elevati livelli di isolamento sociale sono dovuti, almeno in parte, a stili di vita con alti livelli di consumo. Di fatto, mentre molti progressi moderni - mezzi di trasporto privati, case monofamiliari, televisioni, computer e altri apparecchi elettronici - sembrano aver incrementato il benessere umano, in realtà potrebbero aver imposto importanti sacrifici ai consumatori, senza che questi se ne accorgessero o fossero d'accordo.

Più in generale, puntare alla decrescita, ricorda Assadourian, oltre a ridurre gli effetti collaterali fisici e sociali della ossessiva aspirazione alla crescita, ridurrebbe l'impatto ambientale dell'economia umana poiché alcune popolazioni consumerebbero meno cibo, risorse ed energia. Forse il risultato più importante ma meno tangibile sarebbe quello di ridurre la perdita della capacità di resilienza della Terra, da cui la sopravvivenza e la prosperità dell'umanità e di tutte le specie dipendono. È facile sostenere che la decrescita dell'economia globale ecologicamente distruttiva sia saggia e ragionevole, ma quando la crescita è uno dei miti sacri fondamentali della cultura moderna e quando gli economisti, i media e i leader politici si tormentano ogni volta che l'economia subisce una contrazione, ribaltare il paradigma consolidato sarà estremamente difficile. La decrescita dovrà essere perseguita in modo strategico, lavorando contemporaneamente su più fronti. Si tratta di una sfida certamente non facile ma che deve stimolarci tutti ad essere protagonisti di un cambiamento ormai ineludibile delle nostre modalità di produzione e consumo.

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