[30/05/2012] News

Trema la terra, tutti gił per terra

Dalle parti di Cervinia un mio ex professore di scienze, appena passata un scossa di terremoto alle prime ore dell'alba, disse con una serenità quasi inopportuna a noi spaventati ragazzi: «E' la terra che è viva!». Un caro ricordo di fronte allo straziante dolore di questi giorni. Che arriva dopo altri giorni e altri lutti.

Pachamama la chiamano da sempre in Sudamerica, la nostra grande madre terra come può uccidere i propri figli? Una domanda senza risposta. Ma il terremoto è questo, è la terra che si muove perché il pianeta vive. E come gli animali anche l'uomo da sempre si confronta con questo tormento della terra e del mare che danno vita e danno morte. Panta rei. Passano i millenni, passano però anche gli insegnamenti.

L'ansia della crescita, la convinzione di poter tutto superare con la tecnica, le intelligenze prostituitesi alle furbizie, hanno trasformato e ribaltato il rapporto necessariamente di sudditanza dell'uomo nei confronti del pianeta. Non dovrebbe valere anche per noi l'idea di non mordere la mano che ci nutre?

L'Italia è un paese fragile. Meraviglioso nella sua fragilità. Con un dissesto idrogeologico importante e conosciuto e un'attività sismica altrettanto notevole e conosciuta. La terra trema. Ha tremato in passato e tremerà per sempre. Possiamo convivere con questa idea. Come possiamo convivere con l'idea che ha piovuto tanto e pioverà probabilmente più violentemente che in passato su questo strano stivale disegnato dal mare.

Alternando stagioni probabilmente più estreme che in passato con possibilità di siccità poco conosciute alle nostre latitudini, ma non per questo difficili da immaginare. Il guaio vero è che, come ha scritto Franco Arminio, parlando del sisma dell'Irpinia «Venticinque anni dopo il terremoto dei morti sarà rimasto poco. Dei vivi ancora meno».

E venticinque anni sono anche tanti di fronte ai giorni che bastano per dimenticare quello che sta accadendo da tempo in Italia. La nostra memoria di uomini tecnologici è sempre più flebile, affidata alle macchine rassicuranti e incomprensibili ai più, rispetto alla memoria geologica del pianeta vivente che conta gli anni in ‘eoni' che hanno visto passare e morire le specie che ha creato e ricreato sulla sua pelle sottile e ballerina dove cresce la vita che dovremmo tutelare, compresa la nostra.

Oggi invece tutti a piangere, domani a urlare per la messa in sicurezza del territorio. Poi la messa è finita, si va tutti in pace. Accade così anche con gli scandali della politica e vedremo cosa accadrà con quelli (ennesimi) del calcio. Che per far fronte al sisma serve soprattutto una riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, possibilmente a prova di terremoti di questa entità, non paragonabili certo a quelli giapponesi. Un piano Marshall come in tanti e per tanti anni hanno detto e ritirano fuori puntualmente il giorno dei crolli, per poi farne lettera morta subito dopo.

Che poi sarebbe anche Pil, ma che dannazione fare economia sui morti. Aspettare la famosa tragedia. Che poi arriva e che poi nemmeno sposta, se non per le famiglie coinvolte che spesso non si riprendono più. Non tra venticinque anni, ma tra venticinque giorni noi saremo qui a testimoniare che cosa è rimasto dei morti e che cosa si fa per i vivi.

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