[28/05/2012] News

I test del Dna dimostrano che le aree marine protette aiutano la pesca

Un team internazionale di ricercatori provenienti da Australia, Francia, Usa, Arabia saudita e Polinesia francese ha pubblicato su Current Biology, lo studio "Larval Export from Marine Reserves and the Recruitment Benefit for Fish and Fisheries" che dimostra come gli avannotti nati nelle aree marine protette (Amp) diano un grande contributo alla pesca locale e che una rete di Amp ben gestite consente l'essenziale dispersione larvale utile per garantire la sopravvivenza degli stock di pesci e di altre specie. 

Viene sottolineato che «Riserve marine, aree chiuse a tutte le forme di pesca, continuano ad essere sostenute e realizzate per integrare la pesca e conservare le popolazioni. Tuttavia, anche se il potenziale riproduttivo di specie ittiche importanti può aumentare notevolmente all'interno delle riserve, la misura in cui viene esportata la prole larvale e il relativo contributo delle riserve alla pesca delle specie che proteggono sono sconosciuti». Per questo il team internazionale ha utilizzato le analisi delle parentele genetiche, determinando così modelli di dispersione delle larve di due specie di specie di pesci oggetto di pesca commerciale, all'interno di una rete di riserve marine del Great Barrier Reef dell'Australia, scoprendo che «Nell'area di studio di 1000 km2, le popolazioni residenti in tre riserve esportano l'83% (Cernia maculata, Plectropomus maculatus) e il 55% (lutianide spagnolo, Lutjanus carponotatus)», della prole che viene pescata  al di fuori delle barriere coralline protette, mentre il resto rimane all'interno della riserva marina o si sposta in altre aree marine protette.

«Si stima che le riserve, che rappresentano solo il 28% della superficie locale della barriera corallina,  producano circa la metà di tutto il  reclutamento giovanile sia per le riserve che per le barriere entro 30 km dove si pesca - si legge nello studio - I nostri risultati forniscono prove convincenti che, se sono  adeguatamente protette, le reti di riserve possono dare un contributo significativo alla ricostituzione delle popolazioni sia nella riserva che nelle barriere coralline dove si pesca, ad un livello del quale beneficiano gli  operatori locali».

Hugo Harrison, dell'Aec centre of excellence for coral reef studies e James Cook, dell'università australiana, sottolineano che «Le riserve marine sono state istituite per creare ecosistemi oceanici resilienti e contribuire a sostenere la pesca, ma c'è stato una poca chiarezza sull'evidenza di come potessero realizzare l'obiettivo. Questo studio fornisce la prima prova conclusiva che la il rifornimento di larve dalle riserve marine produce importanti sussidi di reclutamento sia per le aree di pesca che protette».

Per più di 4 settimane durante la stagione riproduttiva, i ricercatori hanno raccolto nelle tre riserve campioni di tessuto da 466 cernie maculate e da 1.154 lutianidi spagnoli adulti, poi per i successivi 15 mesi hanno poi raccolto novellame di entrambe le specie in 19 siti protetti e dove si esercita liberamente la pesca in un raggio di 30 km dalle riserve, registrando la posizione e il campionamento di tutti i pesci adulti e giovani. Utilizzando il Dna per assegnare la prole ad uno o ad entrambi i genitori, sono stati in grado di tracciare i movimenti delle larve e degli avannotti  nati nelle tre riserve marine.

«Fino ad ora, nessuno è stato in grado di dimostrare che reti di riserve adeguatamente protette, possono dare un contributo significativo alla ricostituzione delle popolazioni pescate - sottolinea il principale autore dello studio, Geoff Jones - Il destino della prole dei pesci nelle riserve è stato un mistero di lunga data. Ora possiamo dimostrare chiaramente che i benefici delle riserve si diffondono oltre i confini della riserva»

Harrison dice di sperare che «I responsabili politici ed i governi, e non solo gli ambientalisti e i biologi della pesca, riconosceranno che reti di riserve marine sono win-win sia per la salvaguardia del pesce che per la pesca commerciale. Cosa ancora più importante, spero che i pescatori sportivi, artigianali e commerciali non percepiranno più le riserve marine come il "pesce che ha avuto il via", ma piuttosto come la "gallina dalle uova d'oro " delle pratiche di pesca sostenibili». 

Garry Russ, uno degli autori dello studio, ha detto che ha trascorso gli ultimi 30 anni pensando a come dimostrare esattamente dove vanno a finire i pesci nati nelle aree marine protette: «Per me, è stato un po' come trovare il Santo Graal delle riserve marine come strumenti di gestione della pesca». 

Colin Buxton, un noto ecologista della pesca dell'università della Tasmania, non è convinto che questi risultati dimostrino davvero che le riserve aiutino la pesca commerciale: «Se la popolazione adulta non soffre di una carenza di novellame - come secondo lui nell'area studiata - introdurre più pesce giovanile non sarà di aiuto. L'unico modo efficace per mantenere popolazioni ittiche sostenibili è quello di limitare il numero di pesci tirati fuori dall'acqua».

Ma Russ ribatte che «I nuovi risultati forniscono una forte evidenza che le riserve marine sono uno strumento utile per mantenere popolazioni ittiche. Raddoppiare il numero di "reclute" che entrano in una popolazione quasi sempre influisce in modo sostanziale sulle dimensioni della popolazione adulta». 

Il prossimo passo sarà quello di analizzare il patrimonio genetico delle catture delle attività di pesca per vedere se davvero sono rifornite dai pesci nati nelle riserve e per capire quanto lontano dalla rete di aree marine protette australiane si spinga il pesce.

 

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