[25/05/2012] News

Dossier “Biodiversità a rischio”: «Danno ambientale dalle pesanti ripercussioni socio economiche»

A Terra Futura numeri, previsioni, perdite e tutele della diversità biologica in Italia e nel mondo

Secondo il dossier Biodiversità a rischio, presentato oggi da Legambiente a Terra Futura, la mostra-convegno internazionale delle buone pratiche di sostenibilità in corso a Firenze, «Nelle acque del Mediterraneo, l'anguilla, lo storione, il salmone selvaggio e il merluzzo potrebbero avere i giorni contati. E sono in buona compagnia, perché l'88% degli stock ittici mondiali risulta sfruttato al massimo o sovra sfruttato. Né se la passano meglio molte altre specie residenti sulla terra ferma, a cominciare dall'elefante di Sumatra o dalla testuggine del Madagascar, che patiscono la distruzione progressiva e irrimediabile del loro habitat, la foresta. La perdita di biodiversità del pianeta avanza con tassi che incidono da 100 a 1000 volte più del normale e si stima che tra 40 anni, quando la terra sarà popolata da circa 9 miliardi di persone, il 60% degli ecosistemi mondiali sarà degradato.

Un danno dalle pesanti ripercussioni socio economiche. Troppo spesso, infatti, si dimentica l'importanza della diversità biologica per lo sviluppo umano, relegandola in secondo piano e sacrificandola ad altri, più urgenti interessi di parte. Ma è proprio lei, la biodiversità, il nostro serbatoio di risorse, dal cibo alle medicine, dall'industria ai prodotti di origine animale. Un serbatoio in continua e irreversibile trasformazione, che genera l'evoluzione di specie e ambienti. E' dalle specie attuali che il processo evolutivo attinge per formarne di nuove: minore è il numero di partenza, minore sarà la biodiversità futura». 

La presentazione del corposo rapporto (del quale parliamo ampiamente anche nelle pagine toscane di greenreport.it) , che analizza nel dettaglio numeri, previsioni, fattori di perdita e politiche di tutela per tracciare un quadro aggiornato della situazione della biodiversità in Italia e nel mondo, è stata l'occasione per un confronto tra Antonio Nicoletti, responsabile nazionale parchi Legambiente, Giampiero Sammuri, presidente nazionale di Federparchi, Paolo Matina, responsabile tutela e valorizzazione risorse ambientali Regione Toscana e Matteo Tollini, responsabile parchi Legambiente Toscana. 

Nicoletti ricorda che «Il vertice Onu di Nagoya, nel 2010, ha identificato come obiettivo prioritario quello di proteggere entro il 2020 il 17% delle aree terrestri e delle acque interne e il 10% delle aree marine e costiere. Un obiettivo che nel nostro Paese acquista una valenza particolare se si considera che molte Regioni stanno modificando la legislazione sulle aree protette, ed è attualmente in corso la revisione della legge quadro. Una legge grazie alla quale il territorio protetto in Italia è passato dal 3 al 10%, ma che ha bisogno oggi di essere aggiornata per consentire ai parchi un ulteriore salto di qualità nelle loro politiche di gestione e un maggiore impegno nella tutela della biodiversità».

Il dossier sottolinea che «Per la sua posizione geografica e la sua particolare conformazione, l'Italia presenta un'enorme varietà di ambienti naturali: ospita 130 degli habitat individuati dalla Direttiva europea Habitat 92/43, che compie 20 anni. La fauna italiana rappresenta più di un terzo dell'intera fauna europea con 57.468 specie, e sono state censite 6.711 piante vascolari. Abbiamo, inoltre una delle più ricche flore europee di muschi e licheni (composta da 851 specie di muschi e 279 specie di licheni). Questo patrimonio è, però, gravemente minacciato: oggi la metà dei vertebrati presenti sul territorio italiano è a rischio di estinzione, insieme a un quarto degli uccelli e oltre il 40% dei pesci di fiumi e laghi. La situazione più critica è quella degli anfibi, dove la percentuale di specie endemiche minacciate supera il 66%. Per quanto riguarda la flora, sono in pericolo 1020 specie vegetali superiori - circa il 15% del totale - e, tra le piante inferiori, il 40% delle alghe, licheni, muschi, felci».

Ma l'Italia stavolta non è la sola a non aver rispettato gli impegni: «Anche l'Europa ha mancato l'obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010: il 15% dei 231 mammiferi studiati sono minacciati d'estinzione, in prevalenza quelli marini. Più di un quarto (27%) dei mammiferi europei sono in declino. Le più grandi minacce per i mammiferi terrestri sono la perdita e il degrado degli habitat, anche se concorrono l'inquinamento, la mortalità accidentale, lo sfruttamento eccessivo e le specie invasive. Per quanto riguarda invece i mammiferi marini, le minacce principali sono la mortalità accidentale (ad esempio le catture accessorie della pesca), l'inquinamento e il sovra sfruttamento. Un'altra categoria particolarmente a rischio è quella degli anfibi: circa un quarto della loro popolazione è minacciata dall'estinzione e più della metà (59%) è in declino. Il 36% è stabile e solo il 2% in aumento. In pericolo sono anche un quinto dei rettili, il 9% delle farfalle, il 15% delle libellule e l'11% dei coleotteri. Tra i molluschi, il 20% (246 specie) di quelli terrestri e il 44% (373 specie) di quelli d'acqua dolce sono a rischio, mentre tra i pesci d'acqua dolce le percentuali arrivano al 37%. Per quanto riguarda le piante infine, su 1.826 specie valutate 467 sono state identificate come a rischio di estinzione».

La crisi della biodiversità è planetaria: «Nel mondo, delle 59.507 specie prese in considerazione dall'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, 19.265 sono minacciate di estinzione. Settantotto delle 5.494 specie di mammiferi censite sono estinte o estinte in natura, 191 sono in pericolo critico, 447 in pericolo e 496 vulnerabili. Il gruppo maggiormente minacciato è quello degli anfibi: 1.910 specie su 6.312 sono a rischio di estinzione».

I fattori principali di perdita di biodiversità sono molti: «Cambiamenti climatici, introduzione di specie aliene, sovra-sfruttamento e uso non sostenibile delle risorse naturali, fonti inquinanti e la perdita degli habitat. I soggetti più esposti agli effetti negativi della perdita di biodiversità sono le popolazioni che dipendono direttamente dai beni e dai servizi offerti degli ecosistemi. Ad esempio, la deforestazione mette a rischio un miliardo e mezzo di persone che vivono grazie ai prodotti e ai servizi delle foreste, le quali proteggono anche l'80% della biodiversità terrestre. La pressione intorno alle risorse idriche, inoltre, cresce sia in termini di quantità sia di qualità in molte zone del mondo. E il sovra-sfruttamento eccessivo della pesca ha conseguenze economiche disastrose per l'intero settore». 

Legambiente, nel suo dossier, evidenzia la centralità dell'emergenza ambientale e dei cambiamenti globali, «Con le conseguenze negative su ambiente, economia, salute e distribuzione della ricchezza tra le varie regioni del mondo, permea ormai tutti i principali documenti politici internazionali. La Banca Mondiale ha stimato in oltre 45 miliardi di dollari all'anno la perdita di PIL causata dai processi di desertificazione in corso, mentre la distruzione degli ambienti naturali provoca perdite di reddito stimate in 250 miliardi di dollari all'anno. Il processo di degrado e desertificazione dei terreni nelle zone agro ecologiche minaccia attualmente circa 1.5 miliardi di persone, fra cui il 42% dei poveri del mondo. Nel complesso, ogni anno, vengono persi 75 miliardi di tonnellate di suolo con un costo stimato di 400 miliardi di dollari. Carenza idrica e siccità sono ormai emergenze anche in Europa: interessano l'11% della popolazione e il 17% del territorio dell'Unione, in prevalenza i paesi meridionali. In Italia è minacciato il 30% circa del territorio. La siccità in Europa è costata circa 100 miliardi di euro negli ultimi 30 anni».

Anche nel bel mezzo di una crisi che è ambientale, economica e delle risorse, i rimedi ci sono: «Uno degli strumenti più efficaci per combattere la perdita di biodiversità è l'istituzione di territori e di aree marine protette. Ecco perché la comunità mondiale deve compiere sforzi maggiori come quello di far crescere entro il 2020 la percentuale di aree protette a livello mondiale (il 17% delle aree terrestri e il 10% di quelle marine), come stabilito dal protocollo di Nagoya».

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